Il valore dell’attività finanziaria a cui si riferisce un contratto derivato, ovvero i cosiddetti “derivati”, a livello mondiale si fissa a 2,2 milioni di miliardi (avete letto bene 2,2 milioni di miliardi!) di euro, ovvero 33 volte il valore del Pil mondiale. I derivati, tecnicamente, sono strumenti finanziari complessi, oggigiorno altamente diffusi sui mercati dei capitali. Cresciuti esponenzialmente nei primi anni del 2000, a cascata hanno acquisito un ruolo di assoluta centralità nell’intera economia e finanza globale. Non sono titoli muniti di un proprio valore intrinseco, bensì “derivano” il loro valore da altri prodotti finanziari esistenti come beni reali alla cui variazione temporale del prezzo essi si agganciano. Il titolo o il bene reale la cui quotazione sui mercati imprime di fatto il valore al derivato assume il nome di “underlying asset” ovvero “sottostante”.



È interessante rilevare come i derivati possano assolvere sia a una funzione di copertura e quindi protettiva da uno specifico rischio sui mercati, sia a una finalità esclusivamente speculativa, infatti la loro evoluzione sui mercati finanziari globali è stata sempre di più evidenziata quale mezzo di pura speculazione. Come operano i derivati? Essi hanno per oggetto una “pura scommessa” (previsione) sull’andamento futuro di un particolare indice di prezzo, ciò con il massimo spettro di scelte quali: quotazioni di titoli, tassi di interesse, tassi di cambio tra valute diverse, prezzi di merce relativi a materie prime; ovvero tutto ciò che implica una variazione di prezzo e/o di valore. Un’ultima caratteristica che facilita la speculazione è che il derivato è di fatto uno strumento finanziario acquistabile su tutti i mercati mondiali da un numero definito di possibili scommettitori che non hanno alcun rapporto diretto con il titolo e/o bene sottostante a tale scommessa. Quindi gli scommettitori non sono direttamente coinvolti nell’operazione finanziaria dal cui andamento di mercato consequenzialmente il prodotto derivato trae di fatto il suo valore. Nella pratica finanziaria è quindi permesso a chiunque investire in un derivato il cui valore, come detto, è tecnicamente collegato a rischio di solvibilità di un altro soggetto.



Gli acquirenti (investitori) di un derivato scelgono così di scommettere, ad esempio, sulla capacità del debitore di onorare un determinato prestito. Ipotizzando che l’operazione sottostante al derivato vada male per gli scommettitori, vi sarà un effetto leva sul derivato che ne moltiplica il rischio finanziario fino a fargli assumere una portata a cascata sistematica: quello che di fatto sta accadendo oggi nella crisi mondiale finanziaria che stiamo vivendo.

È interessante vedere che la regolamentazione della vigilanza bancaria oggi è più concentrata sui possibili rischi al credito tradizionale che sui rischi effettivi connessi a questa innovazione finanziaria. Analizzando il portafoglio delle prime 55 banche dei tre blocchi Europa-Usa-Giappone, si vede che il rischio derivati figura per l’80% dell’attività prodotta. Da un’indagine datata 18/10/2018 si è evidenziato che nei soli 28 paesi dell’Ue il valore delle transazioni sui derivati è pari a 660 trilioni di euro, ovvero i derivati che vengono trattati sui mercati europei rappresentano poco meno di un quarto dei derivati di tutto il mondo, dove appunto il loro ammontare complessivo sfiora il 2,2 milioni di miliardi di euro. A questo quadro si aggiunga anche che nei bilanci delle banche europee vengono evidenziati 6.800 miliardi di euro tra attivi e passivi con una caratteristica definita “opacità”; ovvero sono i cosiddetti titoli illiquidi, quelli che nel gergo finanziario sono chiamati di “livello 2 e 3 “ e nel linguaggio più popolare “titoli tossici” (in finanza per titolo tossico si intende un titolo di credito derivato direttamente dalla cartolarizzazione di mutui e di prestiti subprime, quindi, venduto dalle banche ai propri clienti sia essi persone fisiche che fondi di investimento, con la figura di obbligazioni a basso rischio finanziario e ciò nonostante la scarsa qualità o il valore completamente azzerato a causa di una stima errata del rischio posta in essere dagli operatori ed agenzia di valutazione sui mercati finanziari, ndr).



Questa è la fotografia della situazione bancaria e dei mercati finanziari attuali: dire “bomba” è dire poco?