Caro direttore,
desidero proporre una chiave di lettura al problema dei cosiddetti “titoli tossici” in pancia al sistema bancario europeo. Alcuni articoli sulla stampa italiana che mi è arrivata mi hanno dato lo spunto per cercare di chiarire in modo del tutto divulgativo le coordinate del problema. Non nascondo un po’ di sconforto a leggere più o meno dovunque banalità o inesattezze.



Apprendo che a un convegno, tra i cui relatori vi era anche qualche accademico, sulla base di uno studio di Banca d’Italia si è denunciata la bomba a orologeria di 6.8 trillions (6800 milioni) di euro in level 2 and level 3 assets nei bilanci soprattutto di banche tedesche e francesi. Titoli tossici, si dice, probabilmente esclusi i derivati. O magari no… ma sono dettagli, trillion più trillion meno, poco importa ai giornalisti.



Visto dall’estero, questo tipo di messaggio allarmistico supportato dalla Banca d’Italia può venire letto in un solo modo: le banche italiane sono state messe sotto enorme pressione dalla Bce per i non performing loans (NPLs, crediti deteriorati), ma i francesi e i tedeschi stanno peggio e non ricevono le critiche che invece meritano. Un chiaro attacco politico alle scandalose incongruenze e disparità di trattamento che Bruxelles e Francoforte hanno tenuto nei confronti delle banche europee, con grande svantaggio per le italiane. Ma mi chiedo: a chi giova sollevare polvere sulla base di dati probabilmente insignificanti (per usare un eufemismo) e con argomenti finanziari e nessi causa-effetto abbastanza ridicoli?



Mi piacerebbe avere il tempo e soprattutto la competenza specifica per mettere un po’ di ordine nella confusione sul tema in questione. Mancandomi ambedue i requisiti, mi limito al buon senso e farei notare quanto segue:

1) i “titoli tossici” non esistono. Se li sono inventati i giornalisti economici che non hanno mai letto un bilancio bancario. Esistono assets ad alto rischio oppure fortemente deteriorati o semplicemente classificati male.

2) esistono in percentuale significativa assets bancari che non sono né tossici, né performanti, ma sono valutati a bilancio in modo od ottimistico oppure attraverso una deliberata falsificazione del loro valore teorico di mercato. 

3) la liquidità di un asset è importante, ma ancora più importante è la sua corretta valutazione. Il mercato giudicherà poi il “liquidity risk”, ma questo, a sua volta, è un altro tema. Essendo il patrimonio netto di una banca universale solo il 3-8% del totale dell’attivo, una scorretta valutazione di una grossa fetta del bilancio avrebbe conseguenze nefaste.

4) si fa spesso una grande confusione tra titoli tossici (che normalmente non sono titoli, ma attivo di altro genere) e derivati. Non tocchiamo il tema derivati oggi, ma disinformazione e incompetenza dettano legge anche su questo. Anche sulle prestigiose pagine rosa.

5) il menzionato convegno riportato da Il Sole 24 Ore sferra implicitamente un attacco alle varie Deutsche Bank, Commerzbank, Bnp, Credit Agricole e altri nomi franco-tedeschi: 6.8 trillions di titoli tossici sarebbero addirittura superiori al totale dell’attivo dei sopracitati colossi bancari!

6) perché questi “titoli” sarebbero una bomba a orologeria? Se i valori sono falsi potrebbero rimanere tali per anni senza esplodere. In Italia si ricorderà la Banca di Roma, che ha vissuto serenamente per decenni con capitale proprio probabilmente negativo (!) a causa dell’attivo di bilancio in parte falsificato.

Ne vedremo delle belle, come il possibile merger Deutsche Bank-Commerzbank (chissà che gioiello può nascere dalla fusione di due banche tecnicamente fallite…), ma soprattutto vedremo che ciò che fa fallire una banca è la crisi di liquidità, generata in primo luogo dal crollo dei depositi e dalla chiusura delle linee di credito del sistema bancario globale nei suoi confronti.

Mario Draghi conosce bene il problema e con un nuovo Tltro nel 2019, allontanerà di un paio d’anni una crisi sistemica di liquidità.

Vista la distruzione di valore nell’ordine delle centinaia di miliardi di euro su scala Ue causata da perdite su crediti/investimenti e dalla scarsa credibilità dei bilanci bancari (Deutsche Bank da sola valeva 100 miliardi, ora 15 a fronte di un patrimonio netto a bilancio di 68), sarebbe da auspicare una maggiore attenzione da parte del regulator o del governo in questione. Personalmente, vedo ragioni per essere preoccupati. La Germania perderebbe grande credibilità in un salvataggio diretto di DB (come fatto con vari istituti nel 2009) e quindi spererà fino in fondo in una soluzione di mercato come il merger con Commerzbank. È intuibile che il mercato da solo non basta per celebrare spontaneamente il matrimonio tra due zombies.

Ci stiamo avvicinando a un livello di tensione elevato su Deutsche Bank, non sottovalutiamo il problema. DB è un nodo importante del sistema bancario globale e potrebbe avverarsi lo scenario peggiore: non tanto panico e fuga dei correntisti, ma delle banche che operano quotidianamente con DB. Tutti sanno che non è la “piccola” Lehman, triste simbolo della crisi 2008: le banche europee non riuscirebbero a proteggersi da una deflagrazione del genere. Per questo, super-Mario aggiungerà una pagina alla sua agiografia (prossimo Tltro), ma questa volta non perderà occasione, in molti si augurano, di far notare quale disastrosa bomba i tedeschi hanno permesso che venisse costruita a casa loro, con le colpevoli incompetenza e superficialità congiunte del regulator (Bafin e Bundesbank) e del governo stesso.

Gli italiani godrebbero forse un po’ di fronte al disastro bancario tedesco, ma a caro prezzo per l’economia europea e quindi per loro stessi.