Al momento in cui viene scritta questa nota, non sappiamo se la trattativa Italia-Unione europea per la rimodulazione del disegno di legge di bilancio ed evitare la procedura d’infrazione stia per andare a buon fine. Il capo della delegazione italiana, presidente del Consiglio Prof. Giuseppe Conte, e la sua “spalla”, ministro dell’Economia e delle Finanze Prof. Giovanni Tria, sono tornati a Roma e hanno lasciato a Bruxelles dirigenti e funzionari a “limare” con le loro controparti della Commissione europea i saldi del disegno di legge di bilancio quale rivisto dal Governo prima che la delegazione andasse tra le brume di una città che ora, per palazzo Chigi, assomiglia tanto a Canossa. È arduo dire se tale “limatura” potrà indurre la Commissione a modificare le proprie raccomandazioni al consiglio per gli Affari Economici e Finanziari dei prossimi mesi. Probabilmente la risposta è “no” perché – come già rilevato su questa testata – il problema non sono i “numerini” sul rapporto deficit/Pil, ma la qualità della manovra in termini di disavanzo strutturale e di (mancanza di) misure per lo sviluppo.



Il nostro “quotidiano approfondito” ha anche sottolineato come il paragone con la Francia non calzi sia a ragione delle differenze in materia di disavanzo strutturale e peso del debito pubblico, sia perché la Commissione ha il dovere di valutare i documenti di bilancio formalmente presentati non le stime a fine 2019 sulla base delle ultime informazioni; se così fosse, a ragione dello scivolone del Pil dell’Italia verso un tasso di crescita tra lo 0,5% o una nuova recessione , il rapporto disavanzo/Pil nel 2019 si situerebbe non attorno del 2,04% del Pil, ma a oltre il 3,5%. Dato che nelle regole europee, la Commissione propone e il Consiglio dispone, anche ove l’Esecutivo comunitario scegliesse una procedura “morbida” (senza sanzioni), quale quelle applicata in passato alla Francia, è altamente possibile che in primavera il Consiglio deliberi una procedura “pesante” nei confronti dell’Italia sia per la violazione palese della normativa europea, sia per l’ampia flessibilità concessa in passato e utilizzata più per spese clientelari che per investimenti per lo sviluppo, sia per il “reddito di cittadinanza” (che piace molto poco a gran parte degli Stati Ue), sia per la reintroduzione delle “pensioni di anzianità” nella forma di Quota 100 che sono un vero e proprio anatema per la Germania (che ha riformato non molti anni il proprio sistema previdenziale in modo che gradualmente l’età della pensione arrivi a 67 anni).



Soprattutto, nelle lunghe notti nebbiose delle trattative a Bruxelles appaiono chiare due determinanti: a) il sempre più frequente e più grave scollamento tra Lega e M5S che rende poco credibile qualsiasi intesa con un Governo “in crisi di nervi” e in cui i due litigiosi partner sono sul punto di un sanguinoso divorzio; b) l’assenza sostanziale dell’Italia dai tavoli più importanti dell’Ue, quelli sulla riforma dell’eurozona a motivo sia dei contrasti interni, sia del sostanziale declassamento a comprimario del ministro dell’Economia e delle Finanze.

Andiamo al primo punto. Ai continui litigi, si è aggiunta venerdì 14 dicembre l’affermazione del Sottosegretario Giorgetti in un convegno a Palazzo Giustiniani, secondo cui il reddito di cittadinanza “piace a un’Italia che non ci piace” e che sguazza nel lavoro nero e nei redditi occulti. Inoltre, la delegazione in Italia della Commissione ha informato Bruxelles che la mattina del 14 al Teatro Nuovo di Milano si sono riuniti 1.200 delegati in rappresentanza di 850.000 dirigenti pubblici e privati, medici, notai, magistrati, militari, prefetti, imprenditori aderenti a Cida, Confedir, Forum Pensionati, Assidiplar, Leonida e altre organizzazioni. È la seconda di tali manifestazioni (la prima è avvenuta il 20 ottobre a Verona) in cui è stato lanciato un “altolà” alla Lega dalla sua base elettorale (i presenti all’assemblea muovono circa due milioni di voti) per non cedere sulla decurtazione alle pensioni chiesta dal vicepresidente del Consiglio Luigi Di Maio per finanziare la pensione di cittadinanza. Si esprimeranno – hanno detto- non solo con ricorsi giudiziari in sede italiana ed europea, ma soprattutto con il voto (come hanno già fatto coi Governi Monti, Renzi e Gentiloni). È’ tema a cui il gruppo dirigente della Lega non può restare insensibile.



Per quanto riguarda il secondo punto, si è appena svolto il Consiglio dei Capi di Stato e di Governo dell’Ue (ragione formale della presenza di Conte a Bruxelles) in cui è proseguito del dibattito sulla graduale riforma dell’Eurozona e in particolare per la ristrutturazione dei debiti sovrani. Questo tema, decisivo per l’Italia, è stato poco discusso sui media nel nostro Paese, perché offuscato dalla trattativa sulla Legge di bilancio che il Governo sta conducendo con la Commissione europea. È stato argomento di seminari e convegni di centri di ricerca, come Cer, Iai, Astrid , ma non c’è stato un vero dibattito pubblico e non si sa quale sia la posizione del Governo.

Nelle ultime riunioni dell’Eurogruppo e dell’Ecofin, i ministri dell’eurozona hanno deciso che il meccanismo europeo di stabilità diventerà il paracadute del Fondo europeo di risoluzione bancaria già prima del 2020 (come ipotizzato sino a qualche mese fa) “purché vi siano state sufficienti riduzioni dei rischi nei bancari”. Hanno, inoltre, varato nuove regole creditizie relative sia ai requisiti di capitale, sia alle misure che dovrebbero facilitare la risoluzione di una banca. Soprattutto, il Meccanismo di stabilità avrà un ruolo maggiore nella gestione di eventuali crisi bancarie e potrà garantire linee di credito precauzionali ai Paesi membri, con regole chiare, precise e specifiche condizioni ex ante, ma senza che sia necessario negoziare e firmare con il Governo dello Stato in difficoltà un vero e proprio memorandum di intesa.

Su questi punti, si è lontani da una convergenza, ma si è pur sempre trattato di una “svolta”, come sottolineato dal commissario agli Affari economici e finanziari Pierre Moscovici. Per completare la “svolta” ci sono almeno tre punti nodali su cui tutti gli Stati (e per quanto ci riguarda soprattutto l’Italia) dovrebbero prendere posizione. Il primo punto è come misurare “la sostenibilità” del debito, su cui la Commissione e la Banca centrale europea hanno effettuato studi e individuato nuovi indicatori che superino lo spread. Il secondo aspetto è come mettere in atto una “rete di sicurezza” che, al tempo stesso, sostenga lo Stato in difficoltà, argini il “contagio” ed, eventualmente, preveda agevolazioni europee a una ristrutturazione.

Sono temi complessi su cui molti Stati membri dell’Ue hanno linee politiche chiare (come indicato, indirettamente, dal “cordone sanitario” informale, in atto da circa sei mesi, per impedire che eventuale instabilità finanziaria in Italia tracimi nel resto dell’area). Infine, terzo punto, chi deve essere il prestatore di ultima istanza? La Bce o il Meccanismo di stabilità? E quali devono essere le regole e le procedure decisionali? Se ne parla in tutte le sedi europee, ma non è dato sapere qual è il punto di vista di Roma. A Bruxelles l’assenza sostanziale dell’Italia su questi temi crea sgomento.

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