Oggi è il giorno della Fed: cosa farà la Banca centrale Usa, alzerà ancora il costo del denaro in area 2,25%-2,50% o si fermerà, aprendo ufficialmente il dibattito sulla bontà del suo operato finora e, probabilmente, i cancelli dell’inferno sui mercati, almeno nel breve periodo? Il presidente Trump non ha dubbi e ha voluto esprimere il suo pensiero e la sua moral suasion verso Jerome Powell attraverso un tweet: con mezzo mondo, Francia in testa, in fiamme, pensare di alzare ancora il costo del denaro è pura follia. Chiaro e diretto, come nel suo stile. Eppure, sulla grande stampa e nelle trasmissioni delle grandi emittenti tv, come nei tg, l’argomento non pare suscitare interesse: come mai, a vostro modo di vedere?



Eppure, parte tutto da lì: la crisi estiva dei mercati emergenti, il rialzo dei rendimenti obbligazionari a livello globale, la nuova crisi bancaria e di drenaggio di liquidità in dollari, il contagio agli indici azionari tramite il calo del peso dei buybacks. Eppure, fino a non più tardi di due mesi fa, nessuno si poneva neppure il problema: l’aumento di un quarto di punto durante la riunione del Fomc di dicembre era dato per scontato, quanto il fatto che il 25 dello stesso mese sarebbe stato Natale. Oggi, invece, tutto è cambiato.



Lunedì Wall Street si è schiantata per l’ennesima volta: reazioni sui giornali o in tv il giorno dopo? Zero, ormai se le piazze borsistiche non perdono almeno il 3% non fanno notizia. È il cosiddetto new normal. Ma normale, in realtà, non è affatto. Guardate questo grafico: fino a oggi, a livello di performance azionaria, Wall Street sta vivendo il peggiore mese di dicembre dal 1980 e il secondo dal 1950. Approfondimenti sull’argomento nei talk-show? Analisi del fenomeno? Zero. In compenso, ore e ore a parlare del reddito di cittadinanza e di quota 100. Importanti, certo. Ma non sistemici, signori. Tanto più che la pantomima in atto fra Roma e Bruxelles ha dimostrato plasticamente come certe battaglie campali si trasformino presto in scontri di retroguardia, a dispetto dei proclami sul mangiarsi lo spread a colazione.



Ma è tutto così, viviamo in una bolla di bolle. E di balle. Ad esempio: avete per caso notizie fresche sui “Gilet gialli”, quelli che con la loro protesta dovevano far tremare l’Eliseo dalle fondamenta e guidare la guerra santa dei pezzenti a livello europeo, forse mondiale? Dopo la riunione per pochi intimi in cui si è tramutata la manifestazione di sabato a Parigi, paiono spariti dal dibattito pubblico. Per essere un movimento rivoluzionario epocale, c’è voluto poco per ridimensionarli alla radice, trasformandoli in antagonisti qualsiasi (e piuttosto divisi al loro interno): quattro promesse in campo economico (tutte da valutare nella loro attuazione pratica e nella tempistica) e l’attentato di Strasburgo. Puff, spariti come neve al sole. Certo, in Francia se ne parla ancora, ma altrove? Fino alla scorsa settimana era tutto un “Gilet giallo” nel dibattito politico italiano, sembrava di stare in una limonaia: e adesso?

E lo stesso attacco al mercatino della città alsaziana, a detta di qualche sciacallo l’ennesimo esempio dell’assalto alla nostra civiltà da parte di orde di conquistatori islamici, che fine ha fatto? Sparito. Da titolo di apertura ad articolo interno in una settimana: che strana civiltà quella relega un attacco contro i propri stessi fondamenti ad argomento da scandalo di provincia, non vi pare? Ammazzato il colpevole, chiusa anche l’indignazione. Oggi il corpo del povero Antonio Megalizzi sarà a Roma e domani nella sua Trento per i funerali: si farà un gran parlare ancora per 48 ore, si scomoderà l’Europa come alto ideale per cui morire o come bastione da difendere a ogni costo dall’invasore islamico. Sarà l’Erasmus o sarà Lepanto, senza un minimo di rispetto e di decenza. E poi, grazie al cielo, calerà il silenzio su quella breve vita. Tutto rapidissimo, se ve ne siete accorti, rispetto agli altri attacchi in Europa dell’Isis o chi per essa: Barcellona, ad esempio, ci aveva tenuti in ballo con la sua retorica e le sue baggianate di intelligence (ricordate la villetta usata come deposito di bombole del gas usate per l’attentato? Era esplosa, ma non aveva destato nessun dubbio negli inquirenti, nonostante tutti i membri del commando fossero conosciuti, imam in testa!) per almeno dieci giorni. Qui è bastato un weekend e già sembra di parlare dell’esito di una tragica rapina in banca, costata la vita a degli innocenti per qualche migliaio di euro di bottino. Roba da film poliziottesco con Luc Merenda e Tomas Milian.

Forse, perché al netto della retorica, non c’è nessun attacco all’Europa in atto. Almeno, non nelle forme strumentalmente caricaturali che ci stanno vendendo ormai da tre anni, dal tragico 13 novembre del Bataclan. E, soprattutto, perché Antonio non è morto per l’Europa, non cercava affatto la bella morte al fronte, come sulla linea del Piave: semplicemente stava forse cercando un regalo di Natale per la sua fidanzata al mercatino di Strasburgo, in un pausa da quel lavoro che amava tanto. Non è morto per Juncker, né per il Trattato di Lisbona. E in quel mercatino ha trovato la morte. Per caso. Fatalità. Disgrazia. Destino. Chiamatelo come volete, ma lasciamo stare la retorica da sciacalli. Di destra. Di sinistra. Di centro. Perché signori, se ha diritto di cittadinanza l’idea che Antonio sia morto per l’Europa o per lo snaturamento della stessa di fronte all’arroganza feroce dell’islam radicale, allora deve averlo anche la tesi opposta, più ardita. Quella che mette la freccia e semina anche la versione logica e pragmatica della tragica fatalità, pura e semplice: quel ragazzo e i suoi sogni sono morti, perché a Strasburgo, in Europa, qualcuno non ha fatto bene e fino in fondo il suo lavoro. E, volendo estremizzare, quell’incompetenza ha generato un evento drammatico che ha comunque sortito un effetto placebo sul caos che era in atto in Francia.

Parlano i numeri e le coincidenze temporali: dopo Strasburgo, i “Gilet gialli” sono spariti dai radar del grande interesse internazionale. Complottismo? Forse. Vi faccio una domanda, però, dopo essermi iscritto di diritto a questo club poco onorevole, dove viene cacciato, come in un girone dantesco, chi non crede acriticamente alle cosiddette versioni ufficiali. E lo faccio restando in Italia e nei salotti bene di certa intelligencija: come mai fustigatori di quelle che ritengono solo altrui paranoie, ogni qualvolta fa loro comodo che il calendario della loro gioventù mal invecchiata glielo ricordi, citano gli Scritti corsari di Pier Paolo Pasolini per inchiodare al muro delle responsabilità lo Stato per ogni nefandezza anti-democratica dal 1945 ad oggi? Quel io conosco il nome, io so di Pasolini risuona come il più scontato ma anche azzeccato dei j’accuse da aperitivo impegnato, da vernissage per rivoluzionari carenti di mobili propri per fare le barricate, come li definirebbe Ennio Flaiano, da saggio di fine anno per orgogliosi detentori di superiorità morale.

Scusate l’ardire, ma Pier Paolo Pasolini, nel tratteggiare in punta di sanguinante e dolente sacrificio morale e civile le responsabilità dello Stato e dei suoi uomini nella cosiddetta strategia della tensione, cosa faceva di diverso da quelli che vengono con scherno definiti “complottisti”? Dava basi scientifiche al suo pensiero, forse? Portava prove documentali? No, meramente morali e politiche. Ora vi chiedo: vi convince tutto della versione ufficiale, di tutte le versioni ufficiali di quanto accaduto di eclatante dal mitico 2008 del crollo Lehman Brothers in poi? Anche il fatto che a Strasburgo si sia cercato un uomo solo e, a quanto dicono, ferito, per un giorno e mezzo, dandolo già per uccel di bosco in Germania, quando invece non si era mai mosso da casa sua? Dove, stando agli inquirenti, sarebbe tornato subito dopo l’attentato addirittura in taxi! Ricorda, tutta questa storia, il concatenarsi di strane coincidenze che si verificarono in via Fani la mattina del rapimento Moro e della mattanza della sua scorta. Andò via la linea della Sip. Non c’era la solita macchina di pattuglia all’angolo, ma, in compenso, c’era il capo addestratore di Gladio nel paraggi. È storia degli atti giudiziari, non dietrologia.

E non appare ancora oggi – anzi, oggi più che mai – un po’ lunare che cervelloni dell’intelligence all’epoca siano andati a scandagliare il comune di Gradoli invece che la più vicina e probabile (e conosciutissima ai Servizi, ivi domiciliati in incognito) via Gradoli? E signori, quella perlustrazione era basata su un dritta sicura, prova certa, scientifica quasi, mica una tesi complottistica: una seduta spiritica tenutasi a Bologna il 3 aprile del 1978, con cucchiaini e piattine del caffè a fungere da Virgilio della situazione, a cui partecipava nientemeno che il futuro Presidente dell’Iri e poi del Consiglio, Romano Prodi.

E chi avanza dubbi sulle dinamiche di quanto accaduto a Strasburgo – o sulla rambla di Barcellona o sul trolley in autocombustione di Bruxelles o sull’automobile che esplode sugli Champs Elysée, quasi senza riportare un graffio e con il bagagliaio pieno di armi rimaste indenni – sarebbe il complottista non credibile!? Non è che questa storia del complottismo da irridere e scacciare come lebbrosi dal tempio della buona creanza democratica non sia altro che incapacità di vedere oltre il proprio naso o, peggio, connivenza con una narrativa che fa comodo, come pattine per evitare che la pupù del cane schiacciata sotto casa dall’ospite di turno insozzi il tuo tappeto? Non è che, in punta di onestà, semplicemente non si voglia guardare in faccia – come fece Jospeh Conrad – l’Orrore e si preferisca travisarlo, spesso in maniera caricaturale, con la kefiah e la sciabola oltraggiose e mediaticamente piene di allure del nemico jihadista? Spiegatemi, vi prego! E anche chi grida che il povero Antonio Megalizzi è morto per l’Europa, me lo spieghi! E magari, dopo averlo proclamato martire d’Europa o della novella Lepanto, a loro scelta, provino a spiegarlo a parenti e amici di Antonio, i quali infatti hanno chiesto disgustati il rispetto della privacy. E del dolore.

Perché, piaccia o no, lorsignori del negazionismo e della versione ufficiale come unica realtà, branditori di comodi, acuminati, ma al tempo stesso tranquillizzanti rasoi di Occam per anime troppo sensibili e barbe da accorciare per non pungere, hanno ragione. Lo Stato non fa certe cose. A volte, ne fa di peggiori. E spesso, è obbligato a farle. Si chiama potere. E regola le nostre vite. Perché pensate che i crolli di Borsa non facciano notizia? Perché pensate che, dalla mattina alla sera, possa nascere un movimento che paralizza la Francia e, con la stessa rapidità, questo possa essere ridimensionato, fino a sparire, come pioggia in una grondaia piena? Non senza, però, aver fornito materiale da sondaggio. Ora, con Natale e Capodanno di mezzo, difficilmente ci saranno manifestazione al sabato, in favore di telecamere e smartphones: scommettete che per la Befana, nessuno parlerà più dei “Gilet gialli”, nemmeno in Francia?

E, come vi ho detto da subito, Emmanuel Macron – con quattro concessioni a parole e 10 miliardi di deficit in più – avrà portato a casa la vittoria politica totale, nonostante un tasso di gradimento al minimo storico. E quando una mattina, accenderete la tv per sentire le notizie mentre preparate il caffè, mezzi insonnoliti e con la testa piena di pensieri per la giornata, preparatevi: potreste scoprire, di colpo, che una banca o una grande multinazionale sono andate in bancarotta nottetempo o durante il weekend. Aperte il venerdì pomeriggio, fallite il lunedì. E scoprirete di essere di nuovo nella grande crisi, quella che è già presente ovunque sul mercato: azioni, obbligazioni, forex, tassi, materie prime. Ma nessuno ve lo dice: è come al supermarket, ogni cinque ribassi del Nasdaq, in tv ne citano uno, il più grosso. E se osate avanzare dubbi o, peggio, fare delle domande fuori ordinanza, l’accusa di complottismo è pronta dietro l’angolo.

In compenso, per i giorni in cui ha fatto comodo, l’aggiornamento sull’aumento dello spread era in tempo reale. assillante, roba da lavaggio del cervello. Anche solo per miseri 5 punti base. Poi, la pace sui mercati. O, almeno, la tregua. Ragionate, usate la vostra testa. A tu, Antonio, riposa in pace adesso.