Non so cosa ne pensiate voi, ma le scene cui abbiamo dovuto assistere al Senato in queste ultime ore, relativamente alla Legge di bilancio, non sono state il massimo della trasparenza, né della serietà. Almeno, se dobbiamo fare affidamento a quelli che furono i proclami in campagna elettorale delle due forze fondanti dell’esecutivo: di fatto, si sta votando una Finanziaria senza mandato parlamentare. In bianco, qualcosa di senza precedenti. Magari, come hanno ribadito fieramente i due vicepremier, non sarà vero fino in fondo che i nostri conti sono stati riscritti direttamente da Bruxelles, alla faccia del sovranismo, ma di sicuro qualcosa non torna. E attenzione, perché la cosa grave è che questo sia un dato di fatto: guardate questo “strappo”, preso direttamente dalle agenzie di stampa, nella fattispecie la Adnkronos. A oggi, nessuno, né il diretto interessato, né il governo, sono entrati nel merito.
Certo, sia Di Maio che Salvini hanno negato ogni possibile aumento dell’Iva (attenti, perché se solo scattasse quella tagliola, ogni potenziale beneficio che si trarrebbe dalle due misure economiche messe in campo, reddito di cittadinanza e flat tax parziale per partite Iva sotto i 65mila euro, sarebbe divorato immediatamente dall’aumento del prezzo di beni di larghissimo consumo), ma resta il fatto: per ottenere il minimo sindacale di promesse elettorali fatte, si è dovuto ricorrere alle clausole di salvaguardia. Di fatto, il peccato mortale che il governo del cambiamento imputa almeno ai suoi tre predecessori. Se non prima, visto il ricordo quasi sistematico che ne fece anche l’ultimo governo Berlusconi. Un’ipoteca. E di quelle pesanti, se pensiamo che nel frattempo le prospettive economiche sono passate, quasi in un batter d’occhio, da rose e fiori a una narrativa consolidata e diffusamente accettata di recessione in arrivo già il prossimo anno, almeno nell’eurozona. E senza più gli acquisti diretti della Bce, per quanto il reinvestimento abbia calmato non poco le acque sul fronte dello spread, come avrete notato in questi giorni.
Già, perché se anche Wall Street affonda e trascina con sé Asia ed Europa, lo spread resta lì. Fermo. Forse, è altro che lo mantiene calmo. Come vi dico da un po’ e alla faccia della Bce che avrebbe staccato la spina degli aiuti: se davvero lo avesse fatto, da una settimana saremmo sopra quota 400. Assicurato. Non sarà che il voler celare fino all’ultimo momento possibile la realtà dell’accordo con l’Europa che ci ha fatto evitare, in extremis, la procedura di infrazione e i suoi particolari, i famosi “numeretti”, sia una necessità politica, tutta finalizzata al consenso in vista della campagna elettorale permanente che vivremo da gennaio fino a maggio prossimi?
Intendiamoci, se anche fosse così, non sarebbe il primo governo italiano che cede a compromessi per evitare guai immediati, post-ponendo decisioni sgradevoli. Anzi, l’elenco dei precedenti sarebbe lungo. C’è però un discrimine. Anzi, due. Il primo è politico: se fai del grido “onestà, onestà” il tuo mantra, poi risulti poco credibile se sei addirittura costretto a imporre alle Camere di votare una manovra al buio, senza conoscerne i contenuti. Come, di fatto, accaduto in pieno alla Camera dei Deputati, dove si è votato solo formalmente un testo che si sapeva in partenza essere totalmente vuoto e destinato a un drastico cambio a palazzo Madama, proprio perché nel passaggio fra un ramo e l’altro del Parlamento avrebbe subito la “cura europea” per evitare il patatrac.
Secondo, guardate questo schema: quelli che hanno risposto a questo sondaggio dedicato ai possibili scenari di sviluppo dell’altra tragicommedia in atto, quella del Brexit e compiuto a inizio settimana da Bank of America-Merrill Lynch, non sono cittadini comuni come voi e me, bensì 200 gestori di fondi di investimento, gente che opera sui mercati a livello professionale. Bene, guardate la terza, la penultima e l’ultima risposta al quesito.
Fino a due mesi fa, nessuno avrebbe accreditato di una virgola quelle ipotesi. E guardate voi stessi cosa dicono le barre gialle delle prime due risposte, ovvero le indicazioni fornite al riguardo solo il mese scorso, novembre: un cambio di paradigma impensabile. Pressoché fissa, invece, l’ultima risposta: non so. E, ripeto, se foste voi o il sottoscritto a fornire quella indicazione, non ci sarebbe nulla di male. Ma a cedere all’evidenza di una situazione senza precedenti sono gestori di fondi, gente che ha in mano i vostri soldi e deve decidere come piazzarli. Gente che su un evento di fondamentale importanza, non solo per il Regno Unito ma per l’interezza dell’Ue come il Brexit, è stata completamente messa all’angolo e spiazzata dal dilettantismo folle della politica e, oggi, quasi alza le mani, in segno di resa.
Molti trading desk, la scorsa settimana, sono stati chiari, di fronte a una domanda di Bloomberg: ormai, scommettere sull’andamento della sterlina equivale a giocare a freccette in una stanza buia. Si tira e si spera. Sono diventati di colpo degli incapaci? No, semplicemente alla politica si chiederebbe il minimo sindacale della serietà, soprattutto quando si sta “giocando” con il destino stesso della vita di milioni e milioni di persone. Oltre che con posti di lavoro e capitali che quotidianamente attraversano nei due sensi di marcia la Manica e da lì, poi, varcano l’Oceano. La politica non è un gioco, non è improvvisazione. Qui, invece, pare il contrario. E la cosa sconvolgente è che la gente sembra apprezzare: dilettantismo, mancanza di esperienza equivalgono ormai nel sentire comune a onestà e trasparenza, all’essere “uno di noi”. E questo basta: l’ultimo sondaggio reso noto da La7 parla chiaro al riguardo, le due forze che sorreggono il governo, oggi, insieme raccolgono il 59% dei consensi degli italiani che intendono recarsi alle urne. Scusate, ma a me questo fa paura. Molta paura. E non per la Legge di bilancio in sé, chissenefrega di quella e dello zero virgola cui si appende. Mi fa paura che, talmente tanto è alta la percezione di disillusione (quando non di schifo conclamato) per le classi dirigenti che lo hanno preceduto, da rendere immune questo esecutivo da ogni possibile critica: ormai sono sei mesi che inanellano una bugia dopo l’altra, una gaffe dopo l’altra, una cambio di fronte dopo l’altro. Eppure, seppur avendo invertito i rapporti di forza fra Lega e M5S rispetto al risultato elettorale, l’epilogo non cambia: la gente vuole questo, vuole comunque una forzatura della realtà. Costi quel che costi. E, in cambio di questa proiezione di cambiamento, è disposta a ingoiare qualsiasi boccone, quasi senza fiatare.
Così, però, nascono i plebiscitarismi, non i governi democratici. Su queste fondamenta, si basano le democrature dell’Est, non gli esecutivi legittimati dal voto popolare e dal mandato parlamentare, tipici dell’Occidente. Attenti, stiamo precipitando nella tentazione personalistica in maniera sempre più spiccata e clamorosa: la democrazia è altro, sappiatelo. Cosa faranno i nostri eroi, al ritorno dalle abbuffate natalizie, di fronte alla prospettiva di una campagna elettorale permanente e lunga sei mesi? E, di più, di fronte alla prospettiva di una dinamica che da gennaio diventerà apertamente e palesemente fratricida, visto che salvo novità clamorose, alla Regionali come alle Europee, Lega e M5S saranno partiti concorrenti. Di fatto, nemici, per usare il lessico dell’uomo medio e dei talk-show.
Insomma, rischiamo potenzialmente una divaricazione di obiettivi clamorosa, nel senso che fino a maggio sia il partito di Salvini che quello di Di Maio, cui si sarà aggiunto nel frattempo il rimpatriato e poco incline al dialogo Di Battista, dovranno capitalizzare al massimo a livello di consenso. E questo, facendo palesemente riferimento a due blocchi sociali e geografici contrapposti. Quindi, a contrapposti interessi. Avete idea del Vietnam parlamentare che aspetta potenzialmente questo Paese da qui a poche settimane? E, purtroppo, destinato a durare fino a primavera inoltrata. Il tutto, con il Brexit che entrerà nella fase operativa da subito: il 14 gennaio, quando ancora molti avranno il boccone di pandoro da ingoiare, Westminster dirà sì o no all’accordo raggiunto da Theresa May con l’Europa. Comunque vada, il rischio di terremoto è altissimo. Se poi il governo andrà sotto e si tornerà alle urne, certamente il Brexit sarà ufficialmente morto, ma le settimane immediatamente successive, prima del rally di sollievo, saranno da incubo sui mercati.
Soprattutto per i titoli bancari: i nostri governanti sono consci di questa situazione? Sanno cosa li attende? Perché il fatto che, ancora oggi e con quanto sta accadendo sui mercati, Wall Street in testa, non abbiano trovato cinque minuti per nominare il nuovo capo della Consob, parla la lingua di gente che naviga senza bussola, sperando nelle stelle e nel cielo sereno che le faccia scorgere per tracciare il cammino. Ma attenzione, se c’è una certezza, oggi è proprio quella delle nubi nere e minacciose che l’Europa e il mondo hanno davanti a livello economico e finanziario. Forse, il navigator non servirà ai disoccupati per uscire dal loro limbo, ma all’Italia per non schiantarsi contro il primo iceberg. Attenti, stiamo sottovalutando la situazione e sovra-caricando di contenuti positivi l’accordo raggiunto con Bruxelles. Anche Theresa May lo ha raggiunto nel suo ambito specifico di interesse, ovvero l’addio di Londra a Bruxelles, fra squilli di trombe e titoloni dei giornali: vi pare che la questione Brexit, in concreto, sia stata risolta nel frattempo e grazie a quel patto?
E attenti a Trump: avete notato come, al netto delle baruffe goldoniane con la Fed, abbia di colpo eliminato il boom economico dalla sua narrativa? E come, altrettanto repentinamente, abbia ritirato fuori la carta, tutta politica e patriottica, dell’isolazionismo, riportando a casa i soldati da Siria e Afghanistan, portando il general Mattis a dare l’addio anticipato al Pentagono per inconciliabili differenze di vedute? C’è poco da stare tranquilli. Metteteci poi il nuovo e millenaristico atteggiamento da Dottor Stranamore di Vladimir Putin e il quadro è completo: sicuri che il problema sostanziale di questo Paese sia stato risolto?