Come finirà il caso Carige? Le tre crisi più recenti (Mps, Popolari venete e Creval) offrono un completo ventaglio di sbocchi: escludendo ovviamente che la banca genovese finisca i suoi giorni in modo traumatico.
La vigilanza Bce – resa cauta fra l’altro dal cambio della guardia in corso fa la francese Danièle Nouy e l’italiano Andrea Enria e dall’incombere di dissesti più rilevanti in Germania – continua ad attendere la disponibilità degli azionisti a una ricapitalizzazione. Ma l’ultima assemblea ha bocciato un’ipotesi di aumento di capitale immediato da 400 milioni. I due grandi soci Malacalza e Mincione – peraltro rivali nella lunga telenovela Carige – ne hanno anzi approfittato per ritirare dal cda i propri rappresentanti, fra cui l’economista Lucrezia Reichlin, chiamata poche settimane fa come vicepresidente di Pietro Modiano.
Lo sviluppo non ha comunque sorpreso mercati e authority: gli azionisti privati di Carige hanno come obiettivo quello di disinvestire limitando le perdite fin qui accumulate. Non sono quindi affatto pronti a iniettare altri capitali, ma neppure a lasciare campo libero al nuovo management – pilotato da Fabio Innocenzi – per una ricapitalizzazione sul mercato: come quella che ha stabilizzato pochi mesi fa il Credito Valtellinese: oggi controllato da investitori istituzionali con due soci francesi (Dumont e Credit Agricole) a quota 5%. In Carige peraltro, il lancio di un aumento di capitale prima dell’approvazione del bilancio 2018 potrebbe presentare problematicità legate a ulteriori esigenze di pulizia dei conti, in particolare sul versante sofferenze.
Anche per questo a cavallo di Capodanno, gli osservatori guardano a una soluzione diversa. E quando Innocenzi, soprattutto, ripete la parola “aggregazione” pare verosimile guardi al modello d’intervento che ha portato Popolare di Vicenza e Veneto Banca nel gruppo Intesa Sanpaolo. Lo schema sostanziale è semplice: le attività ancora sane di Carige (rete di sportelli, organizzazione, depositi crediti in bonis verrebbero consegnate gratuitamente a un possibile gruppo partner (il gossip di Piazza Affari cita i nomi di Banco Bpm e Ubi), mentre la vecchia Carige verrebbe posta in liquidazione coatta amministrativa e le sue sofferenze indirizzate verso la bad bank nazionale Sga.
L’intervento pubblico – già testato da un decreto del giugno 2017 – sarebbe orientato a garantire le perdite su crediti e – se necessario – ad agevolare il passaggio dell’azienda bancaria al nuovo polo. Un aumento di capitale diretto “stile Mps” (alla voce “precauzionale” nella regolamentazione Ue vigente) si presenta un’opzione quasi teorica.