Un decreto semplificazioni specificamente dedicato alle Zes, e non contenuto in un documento più generale; credito d’imposta per gli investimenti; Accordi di sviluppo dedicati; possibilità di avere la riduzione del cuneo fiscale e l’esonero dall’Irap a favore di chi fa grandi investimenti. Sono gli ingredienti delle Zone economiche speciali, “una forma di modernizzazione del Paese, perché connettono in modo innovativo industria e logistica”, come spiega Amedeo Lepore, per anni assessore alle Attività produttive della Regione Campania e oggi professore di Storia economica all’Università della Campania “Luigi Vanvitelli”. Ma ora – aggiunge subito – “è il momento di uscire dalla fase di discussione sulla positività delle Zes; bisogna cercare di passare alla fase applicativa, altrimenti potrebbero diventare, anche le Zes, l’ennesima occasione mancata. Solo realizzandole in concreto, se ne può valutare la bontà o meno”
Sulla loro efficacia Lepore non ha dubbi, anche se non le considera “la panacea di tutti i mali del Sud”, ma “uno strumento molto importante”. Per il loro avvio – per ora in Campania e in Calabria – manca, sostanzialmente, solo un tassello: l’approvazione di un decreto sulle semplificazioni amministrative. E proprio in materia di snellimento burocratico, Lepore avanza “una proposta dirompente: bisognerebbe prevedere, come potere surrogatorio in caso di inerzia, non solo a livello locale, ma anche nazionale, una sussidiarietà verticale che possa così favorire e accelerare l’insediamento delle imprese nella Zes”.
Professore, facciamo un passo indietro. A lei va il merito di aver creduto, con grande lungimiranza, alle Zone economiche speciali. Quali opportunità e potenzialità ha intravisto nelle Zes?
L’intuizione sulle Zes è nata da un approfondimento che la Svimez aveva avviato, individuando proprio nella fiscalità di vantaggio, cosa diversa dalla Zes, un tema fondamentale per il Mezzogiorno. Assieme ad altri provvedimenti che riguardavano le politiche industriali in quanto tali, ho pensato che fosse necessario uno strumento che consentisse, al tempo stesso, di fare da traino per una nuova fase di attrazione di grandi investimenti e di tenere insieme due temi, oggi cruciali e in strettissima connessione tra loro, come le politiche industriali e la logistica. Le Zes mi sembravano il terreno ideale per studiare interconnessioni tra porti, aree logistiche e aree industriali come un unico fulcro per lo sviluppo dei territori del Mezzogiorno. Quindi aree limitate, di carattere connettivo e che attraverso varie misure, non solo incentivi ma anche semplificazioni e politiche di alleggerimento fiscale, potessero servire ad attrarre grandi investimenti, che poi si riversassero sul territorio circostante.
Come è cresciuta quell’intuizione?
E’ cresciuta grazie anche alla tenacia della Svimez e del suo presidente, Adriano Giannola, e alla forte disponibilità della Regione Campania e delle altre regioni meridionali ad affrontare questo tema. E prima come sottosegretario alla presidenza del Consiglio e poi come ministro per il Sud, Claudio De Vincenti, ha raccolto subito questa sollecitazione. C’è stato, dunque, un humus fertile, rappresentato da un centro studi, da istituzioni proattive che hanno lavorato insieme in questa direzione, da Autorità portuali, in particolare quella del Medio Tirreno Centrale, che ha fatto da capofila attraverso il suo presidente, Pietro Spirito, e dalle forze sociali, soprattutto Confindustria ma anche i sindacati, che hanno avuto un atteggiamento molto positivo. Questo humus ha saputo trasformare quell’intuizione in una legge nazionale. Oggi mi sento di dire che la Zes non è stato certo un tema divisivo, anzi.
E oggi quell’intuizione iniziale è diventata realtà. Assieme alla Calabria, la Campania ha infatti istituito la prima Zes. Che cosa bisogna fare adesso per inverare questa opportunità?
Bisogna, prima di tutto, ricordare la legge sul Mezzogiorno, varata dal governo precedente, che contiene un articolato dedicato proprio all’istituzione delle Zes. A questo articolato, che prevedeva tre Dpcm, è seguito un primo decreto attuativo, sempre nella scorsa legislatura, con le norme attuative delle Zes, che prevedevano l’adozione da parte delle Regioni dei piani strategici per varare le Zes. La Campania e la Calabria lo hanno fatto, e per queste due regioni è arrivato un secondo decreto di istituzione delle Zes. Ora, il terzo e ultimo passaggio, quello che manca, è sulle semplificazioni, ma nessun riferimento sulle Zes è contenuto, per fortuna, nella bozza, attualmente disponibile, di decreto che dovrà andare al Consiglio dei ministri. Il ministro per il Sud, Barbara Lezzi, ritiene però che sia ormai imminente.
Perché dice “per fortuna”?
Credo che la materia meriti una trattazione a sé stante, come previsto dalla legge e dal decreto attuativo. Sarebbe un errore inserire la semplificazione della Zes in questo decreto generale. Bisognerebbe fare l’esatto contrario: ci sarebbe bisogno di un decreto che preveda una forte sperimentazione di più semplificazioni nelle Zes, che solo in un secondo momento, quando si saranno dimostrate applicabili e concretamente utili, potranno essere estese ad altre aree del Paese. Io vedo le Zes come sperimentazioni, un modo per “stressare” la semplificazione, facendo esperimenti coraggiosi. Poi, una volta applicati nelle Zes, sarà importante valutare quali parti potranno essere diffuse su tutto il territorio.
Lei parla di “esperimenti coraggiosi”. A quali ambiti pensa?
Fermo restando che devono essere semplificazioni di secondo livello, cioè non possono mutare norme legislative, possono incidere fortemente sui procedimenti amministrativi.
Per esempio?
Rendere rapido e certo l’iter per aprire un’impresa o per realizzare un investimento. Proteggere da un eccesso di passaggi chiunque voglia effettuare un investimento e non può aspettare tempi molto lunghi, ma anche che siano molti uffici a occuparsi della materia. Dovrebbe invece esserci un unico responsabile del procedimento che rilascia tutte le autorizzazioni necessarie. Oggi per aprire un’impresa servono mesi. Bisognerebbe avere il coraggio di ridurre i tempi necessari, all’interno di una Zes, a poche settimane, mettendo un limite che potrebbe essere, in una fase iniziale, di un mese, dando così certezza a chi vuole investire. E’ fondamentale anche favorire la concentrazione in un unico ufficio, che potrebbero essere gli Sportelli unici per le attività produttiva a livello di ogni singola Zes, per semplificare tutte le procedure che riguardano le attività, in tutti i campi, dall’ambiente alla sicurezza, delle imprese. La burocrazia zero renderebbe le Zes molto più attrattive.
Si dice però che le Zes non abbiano una grande dotazione di risorse per gli incentivi…
La Zes consentirebbe, da un lato, di avere una misura importante come il credito d’imposta per gli investimenti fino a 50 milioni, più del doppio rispetto ai margini previsti per le altre aree: è una misura molto appetibile, che potrebbe essere di grande interesse per nuovi investitori in quelle aree. Dall’altro lato, poi, c’è quello che possono fare le Regioni. In Campania, per esempio, è stata approvata una legge che prevede per i nuovi investimenti l’esonero dall’Irap per 5 anni. Infine, c’è la possibilità di convogliare alcune misure approvate per tutto il territorio nazionale o specificamente per il Sud, che possono avere una particolare declinazione per le Zes.
Ne citi qualcuna.
Gli Accordi di sviluppo, che sostengono gli investimenti superiori ai 50 milioni di euro, peraltro con una proceduta fast track, molto rapida. Questo è assolutamente utile farlo, perché gli Accordi hanno dato ottimi risultati. Ma si potrebbe pensare a una loro applicazione specifica, come previsto nei piani strategici di Campania e Calabria, proprio nelle Zes.
In che modo?
Concentrando nelle Zes una linea per questi Accordi che potrebbe essere fortemente attrattiva. Le Zes, infatti, non si costruiscono attorno a un unico incentivo, ma sono un insieme coordinato di misure – che tra l’altro si possono aggiungere cammin facendo, senza quindi la necessità che siano tutte pronte al momento dell’avvio -, misure che possono determinare una spinta fortissima.
Quindi, ricapitolando?
Accordi di sviluppo dedicati, esonero dall’Irap, credito d’imposta fino a 50 milioni e nelle aree industriali di crisi, laddove ricadano nelle Zes, la possibilità di applicare gli strumenti per le crisi industriali. Infine, e questa potrebbe essere la novità insieme alle semplificazioni, dovendo puntare sugli investimenti per risollevare il Paese che sta per affrontare una nuova fase di difficoltà, la possibilità di sperimentare nelle Zes non tanto la decontribuzione, bensì un più deciso intervento di riduzione del cuneo fiscale, che poi potrebbe essere generalizzato a tutto il Paese.
Che ruolo possono giocare le parti sociali in una Zes?
C’è stato un protocollo nazionale tra Confindustria e sindacati, che ha avuto una declinazione, con schemi anche diversificati, a livello territoriale tra forze imprenditoriali e sindacali per rendere efficace una contrattazione territoriale, di secondo livello, che a fronte di investimenti, cioè di impegni precisi a far crescere rapidamente il reddito delle regioni meridionali, offra in cambio la possibilità di diverse forme sperimentali di lavoro per far crescere la produttività. Quindi, più investimenti per maggiore produttività. In Campania si registrano diversi accordi di questo tipo, che hanno consentito, di fronte a un rischio chiusura, di andare oltre l’ordinario. Perché, allora, non estendere questo schema, che non è di difesa ma di attacco, anche per le Zes, non limitandosi cioè a misure che evitino la chiusura delle imprese, ma rilanciando attrattività e occupazione?
Resta, sullo sfondo, il nodo delle infrastrutture. In Italia troppi cantieri sono fermi. Che cosa bisognerebbe fare per la Zes Campania?
Sono tanti gli interventi da fare, alcuni a livello territoriale e altri di respiro più ampio. A livello locale, bisogna collegare i porti con gli interporti e le aree industriali, rendere più rapidi i collegamenti, soprattutto su ferro, e rilanciare l’intermodalità per connettere le aree individuate della Zes ai loro terminali, cioè i porti di Napoli, Salerno e Castellammare.
A livello più ampio?
Penso alle vie di collegamento, che sono di fondamentale importanza. E siccome la Zes deve guardare al Mediterraneo, ne cito due in particolare: la prima, è il raddoppio del Canale di Suez, che è una grande opportunità per il Mezzogiorno, se la sappiamo cogliere come concretezza e non come chiacchiera o retorica; la seconda, è la Nuova via della seta, un’iniziativa di espansione, non solo economica, della Cina, che va intercettata, perché significa fare i conti con una nuova dislocazione dei circuiti commerciali, di scambio e logistici. Sono due temi che non richiedono appiattimenti o rifiuti, ma sfide da affrontare con realismo. Il Mezzogiorno può svolgere il ruolo fondamentale di connessione del Paese, di presenza geopolitica nell’area e di promozione dell’innovazione, rendendosi disponibile a ospitare traffici, comunicazioni e connessioni di livello globale. Per questo vanno adeguate le infrastrutture a questa nuova fase storica. Solo così il Mezzogiorno potrà svolgere la sua nuova missione euro-mediterranea, non basata sulla retorica ma su fatti concreti.
La Zes è davvero la carta vincente per rilanciare l’intero Mezzogiorno?
La Zes non è la panacea di tutti i mali, ma è senza dubbio uno dei provvedimenti più efficaci e che possono essere portati a realizzazione. E qui ci vorrebbe una sintonia molto forte tra governi nazionali e istituzioni locali.
Che cosa significa?
E’ inevitabile che si formi una connessione tra forze del territorio e istituzioni locali e nazionali. Non so se la Cabina di regia sia la soluzione, è una denominazione che andrebbe cambiata. Un coordinamento è dunque necessario, tra le varie Zes innanzitutto, ma con la possibilità di coinvolgere anche altre forme di attrazione previste per le regioni del Nord, come le Zls. La cosa importante è che questo coordinamento veda una pari rappresentanza dei livelli nazionali, locali e delle forze sociali.
Ma secondo lei, le Zes possono far bene a tutto il Paese?
Assolutamente sì. Uno, perché inseriscono l’Italia in un contesto di maggiore internazionalizzazione, dotandola di uno strumento che sì hanno anche molti altri Paesi, ma con uno schema caratteristico e unico, visto che qui non prevale una Zes monofunzionale e monosettoriale. Quelle di cui si discute al Sud sono Zone economiche speciali molto più articolate e ricche, con una una forza competitiva maggiore.
E il secondo motivo?
Le Zes riannodano e rendono ancora più evidenti i rapporti fra le filiere produttive e logistiche del Nord e del Sud, che sono già molto complementari. In questa innovativa forma di connessione tra industria e logistica le Zes sono una forma di modernizzazione di tutto il Paese. Una modernizzazione di cui si avverte la necessità, se vogliamo tornare davvero a competere a livello internazionale.
(Marco Biscella)