Negli ultimi mesi e settimane ci siamo concentrati su una serie di “questioni singole” che hanno via via occupato la cronaca e il dibattito: la Brexit, la crisi “finanziaria” italiana, lo scontro Usa-Cina, lo scontro Russia-Stati Uniti, i gilet gialli, Deutsche Bank, l’Ucraina, l’Iran, ecc. Queste vicende sono state trattate in Italia con minore o maggiore attenzione anche a seconda delle fasi e in un certo senso delle convenienze. In questo processo abbiamo l’impressione che si sia perso un “livello”.



Il livello di analisi e discussione che sembra essersi perso per strada è quello sul destino o sugli sviluppi dell’Unione europea. Su questa questione si stanno “incrociando” due debolezze. La prima è una debolezza interna che è sia “politica” con le recriminazioni reciproche, sia strutturale perché il progetto europeo è fragile e incompiuto anche per i più accesi europeisti. Potremmo sintetizzare il problema, in modo brutale, con l’incongruenza di un’unione monetaria senza unione politica e oggi, nella sostanza, regolata da rapporti di forza finanziari in cui i deboli non hanno tutele nei confronti dei forti. Si pensi alle proposte del commissario Oettinger di tenere a mezz’asta le bandiere dei Paesi indebitati; come se questa condizione facesse venire meno la partecipazione politica al progetto.



La seconda “debolezza” sono le sfide che si sommano intorno e dentro l’Unione e che la metterebbero sotto pressione indipendentemente dai difetti strutturali. I confronti Usa-Cina e Usa-Russia fanno più male all’Unione europea di quanto non ne facciano agli Stati Uniti, visto che l’Ue ha sposato un modello basato sulle esportazioni e visti gli scambi commerciali ed energetici con la Russia. Le fragilità finanziare dentro l’Unione europea con una banca centrale “a metà” rispetto ai concorrenti sono un’altra fonte di tensione. La Brexit potrebbe iniettare nel continente una dose di volatilità e di “crisi” enorme. Ricordiamo che la Borsa di Milano è stata la peggiore d’Europa il giorno dopo il referendum.



La somma di debolezze strutturali interne e sfide esterne nei prossimi mesi rischia di aprire una fase di fortissime tensioni. Una fase subita e non gestita o affrontata in cui si mettono in moto forze centrifughe e spinte che potrebbero condurre ultimamente alla soluzione più facile e nello stesso tempo traumatica in cui ognuno va per conto suo in uno scenario emergenziale. Potrebbe essere l’Italia “cacciata” dall’euro o la Germania che abbandona il progetto, ma la questione non cambia. In questo senso la domanda è se esista un percorso che evita gli scenari peggiori e in cui si salva quanto più possibile del “sogno europeo” ed eventualmente verso quale direzione si debba andare.

Le urgenze ci pare siano la Brexit e i focolai di volatilità finanziaria all’interno dell’Europa: dal debito pubblico italiano a Deutsche Bank passando per la Francia. Sulle trattative tra Gran Bretagna e Unione europea ci sembra che l’Europa sia nelle condizioni di dover concedere molto o moltissimo se non vuole farsi sommergere da un’ondata di crisi e volatilità eccezionale. Si pensi solo al fatto che la Germania esporta in Gran Bretagna beni per più di 90 miliardi di euro all’anno. Sui focolai finanziari all’interno dell’Europa ci sembra che la soluzione migliore sia una tregua, anche mediatica, in cui a prescindere da colpe e meriti si spengano tutti gli incendi.

La prima ripartenza è salvare quello che c’è. Molto più complesso è raggiungere una posizione comune sui rapporti nei confronti di Russia e Cina. L’unico punto fermo è che senza una riforma e un cambiamento sostanziali sia nei rapporti interni che nelle regole il progetto europeo rimane fragilissimo e con un futuro incertissimo.