La scorsa settimana i mercati hanno penalizzato l’Europa per il timore sia di barriere doganali, sia di una svalutazione del dollaro che ne metterebbe in difficoltà l’export verso l’America. Poi tale timore si è attutito perché Trump ha fatto dichiarazioni concilianti in risposta alle dure prese di posizione di Draghi e Merkel, il primo contro manipolazioni comunicative del cambio, la seconda contro il protezionismo. I mercati hanno percepito che l’America non ha voglia di aprire una frizione eccessiva con l’Ue, per il momento, ma anche che un potenziale conflitto c’è nei fatti.
Il progetto di Trump è ricostruire la potenza dell’industria manifatturiera dell’America incentivando le aziende a riportare in patria le produzioni delocalizzate e la finanza globale a investire negli Stati Uniti sia portando le tasse sulle imprese al 21% (dal 35%), sia attivando barriere doganali che penalizzano le delocalizzazioni stesse, nonché revisionando i trattati commerciali in modo da pareggiare il dare e l’avere, in particolare il Nafta con Canada e Messico.
La durezza con cui Trump comunica questa idea deriva dalla convinzione di avere il coltello dalla parte del manico perché controlla gli accessi al più capitalizzato mercato del pianeta e perché tutte le nazioni rilevanti dipendono dalle esportazioni in questo. Infatti, l’Ue sta cercando un modo per negoziare da una posizione di forza con l’America. Lo sta trovando ponendo l’Europa al centro di un reticolo globale di trattati di libero scambio con Canada, già siglato, Giappone, in perfezionamento, Mercosur (Brasile, Argentina, ecc.), Australia e, in prospettiva, un’altra decina di nazioni (democratiche).
L’America inizia a preoccuparsi per questa posizione europea dopo la mossa del Giappone che ha attivato l’area di libero scambio del Pacifico tra 11 nazioni anche se Washington si è ritirata, di fatto connettendo via Tokyo il Pacifico (pur non Cina, né India) al mercato europeo. In sintesi, l’Ue può creare un’alternativa alla centralità globale del mercato statunitense.
L’apparentemente oscura frase di Gentiloni a Davos, “accelerare l’accordo tra Ue e Mercosur”, accompagnata da un invito a non esacerbare la frizione Ue-Usa, mostra una linea dell’Italia finalizzata a rafforzare la posizione globale dell’Ue per trattare alla pari e riconvergere con l’America, ma non per sfidarne la centralità come invece Merkel e Macron sono tentati, pericolosamente per i nostri interessi, di fare. Linea razionale che il prossimo governo dovrebbe continuare.