Ho in casa una libreria di 30 mq con 2500 libri in disuso; quelli che non li avevano, oggi ne possono usare molti di più, con internet e sullo smartphone. Parlo in tempo reale con mio figlio, ormai Aussie, che sta in un’altra ora, in un altro giorno e in un’altra stagione. Scambio opinioni con chicchessia, in chissaccheposto. Mi informo, come e quando voglio; posso pure disinformarmi a piacer mio. Vivo in solitudine con molti amici remoti. Seppur scrivo facezie mi becco like, che mi consolano; rimando like che inorgogliscono. Bella no?



Bene, per poter avere-fare-dire tutto questo e dal momento che non sembrano essermi forniti pasti gratis, pago. Sì, pago, dando in comodato d’uso i dati delle mia attenzione-dei miei sguardi-dell’ansimare-dell’incontrare-del bighellonare insieme a quelli di tutti, che se assemblati, letti, interpretati, cablati con potenti algoritmi, sono valore sonante beh…, ci sto: Big Data! A chi interessano? Dunque, a chi vuol sapere cosa facciamo, chi vediamo, cosa diciamo; ancor di più dove andiamo con le nostre speranze, le nostre passioni, i lazzi e i frizzi. Con tali dati le imprese possono migliorare il cosa produrre, come farlo, dove e quando farlo pure come esporlo e venderlo. Cin,cin insomma e… buona produttività per tutti!



A proporre tal brindisi sono quelli [1] che fin qui hanno fatto in modo di poter dare questo tutto a tutti e che, per questo, hanno meritato una reputazione senza uguali e incassato profitti a più non posso. Ok, d’accordo, se meglio di così si muore, non si scoppia di salute però. Tutto questo avrebbe dovuto ottimizzare la catena globale del valore… invece. Invece l’efficacia nell’impiego di quei dati non migliora la capacità di spendere se chi deve farlo si è affrancato dal bisogno con l’esser sazio, di non disporre di redditi sufficienti per andare oltre il ruttino, vieppiù se si è incappati nel picco del debito.



Già, così si va a far friggere, nell’ancor troppa capacità d’offerta, quel “just in time” che pur dovrebbe consentire di ridurre le scorte e il rischio, migliorando la produttività di processo. Già se una catena del valore, non adeguatamente oleata, sferraglia prima o poi si incaglia! Vuoi vedere che, alle “benemerite”, toccherà rimisurare un più adeguato rapporto tra il valore di quella stimata reputazione e la capitalizzazione della loro borsa? Beh, altrimenti prima o poi toccherà al mercato farlo.

[1]Apple, Google, Amazon, Facebook, Microsoft, GE, Baidu, Alibaba Group e Tencent tanto per fare nomi; quelle aziende che gestiscono la enorme massa di informazioni che le loro piattaforme digitali raccolgono sui propri utenti e che, adeguatamente analizzate attraverso i propri algoritmi, permettono di profilare il pubblico e offrirlo in modo selettivo e appropriato agli inserzionisti e venditori.