Non è un buon momento per la reputazione delle banche. Anche se le grandi banche hanno chiuso i bilanci dello scorso anno con una significativa crescita degli utili e con una forte riduzione dei crediti in sofferenza continuano a pesare sull’immagine degli istituti di credito le vicende che hanno portato alla liquidazione delle quattro piccole banche del centro Italia, al salvataggio a caro prezzo del Monte dei Paschi di Siena, al passaggio delle popolari di Vicenza e Montebelluna (Veneto Banca) al gruppo Banca Intesa per evitarne il fallimento.



La cattiva gestione delle banche entrate in crisi, un cattiva gestione che per la maggior parte dei casi è oggetto di indagini giudiziarie e di processi nei tribunali, ha gettato un’ombra su tutto il sistema anche se l’insieme degli istituti in difficoltà non ha mai superato il 15% degli affari complessivi del sistema creditizio. E quest’ombra è diventata ancora più pesante per le opache ingerenze della politica nelle vicende del credito: dagli insistenti interessamenti di un ministro che avrebbe dovuto occuparsi solo di riforme istituzionali alle indiscrezioni sulle riforme in pista di lancio che hanno permesso redditizie operazioni di Borsa. Il riferimento è ovviamente alle richieste irrituali di Maria Elena Boschi per cercare un salvatore per Banca Etruria e alle anticipazioni dello stesso primo ministro Matteo Renzi a Carlo De Benedetti sull’approvazione del decreto di riforma delle banche popolari. Così come non hanno certo giovato all’immagine del credito le polemiche e le strumentalizzazioni che hanno caratterizzato l’inutile commissione d’inchiesta parlamentare e il goffo tentativo di delegittimare un’istituzione importante come la Banca d’Italia.



Eppure il sistema bancario italiano nel suo complesso resta solido e affidabile, resta un sistema che ha saputo affrontare e risolvere al proprio interno, attraverso fusioni e acquisizioni, le difficoltà di piccoli e medi istituti. Tutte le maggiori banche sono il risultato di operazioni di raggruppamento compiute nei decenni scorsi sotto l’attenta e il più delle volte silenziosa regia di via Nazionale.

Non bisogna dimenticare peraltro che le banche sono sottoposte in questi anni da tre enormi fattori che hanno cambiato e stanno ancora radicalmente cambiando lo scenario del credito. Al primo posto ci sono gli effetti della crisi partita dagli Stati Uniti nel 2008, una crisi che ha provocato la perdita di un quarto del sistema produttivo italiano e quindi la forte espansione dei crediti diventati inesigibili per la chiusura delle imprese. Al secondo posto va messa la rivoluzione tecnologica, con un’esplosione delle procedure informatiche che hanno radicalmente cambiato il modo di fare banca e di rapportarsi alla banca da parte dei risparmiatori. Ultimo fattore è il processo di realizzazione del mercato unico bancario europeo con procedure sempre più stringenti e controlli sempre più estesi, un processo a cui tuttavia manca ancora quel passo fondamentale che è la garanzia unica sui depositi che difficilmente il Governatore della Banca centrale europea, Mario Draghi, riuscirà a portare a casa prima della fine del suo mandato nel 2019.



Tutto questo per dire che comunque il sistema bancario è migliore di come spesso viene descritto, un sistema che continua a finanziare l’economia reale se è vero, com’è vero, che gli investimenti delle imprese in macchinari e mezzi di trasporto hanno compiuto un forte balzo negli ultimi mesi anche per approfittare delle agevolazioni previste dal pacchetto “Industria 4.0”.

Le banche italiane hanno peraltro grandi tradizioni. Sia per la storia lontana, con la nascita nel Quattrocento dei primi Monti di Pietà su iniziativa di alcuni illuminati frati francescani. Sia per la storia recente con le figure di grandi banchieri che hanno saputo affrontare e risolvere le crisi del loro tempo. Tra questi un posto di rilievo lo merita sicuramente Raffaele Mattioli, protagonista del salvataggio prima e dello sviluppo poi della Banca Commerciale Italiana, l’unico istituto a conquistare nei primi anni del Secondo Dopoguerra una vera dimensione internazionale.

A Mattioli è dedicato un libro scritto da Fulvia Sisti (“La buona banca”, ed. Historica) che raccoglie tra le altre cose la testimonianza del figlio Maurizio Mattioli con ricordi e documenti inediti. Ne esce un ritratto di una grande personalità aperta alla cultura e alla società, impegnata in una prospettiva nazionale di “bene comune”, decisa a svolgere in tutte le sue dimensioni l’arte del fare banca. Un’arte che è soprattutto quella di fare da tramite tra il risparmio e l’economia reale, tra le famiglie e le imprese. Senza le tentazioni speculative di una finanza impegnata a fare i soldi con i soldi.