Ricordo ancora quando appresi della formidabile formula, un cinico brocardo a uso e consumo della ferocia prezzoliniana: “Privatizzazione degli utili e socializzazione delle perdite”. Vivevo e lavoravo a Roma, allora, nel cuore di questo combinato disposto – privatizzazione degli utili/socializzazione delle perdite -, spacciato per Verbo rivelato da una larga parte dell’establishment. Ma c’è anche una versione più ruvida e meno statolatrica di questa realtà, che val la pena riprendere: “I cittadini italiani si dividono in due categorie: i furbi e i fessi. Non c’è una definizione di fesso. Però: se uno paga il biglietto intero in ferrovia; non entra gratis a teatro; non ha un commendatore zio, amico della moglie e potente sulla magistratura, nella pubblica istruzione, ecc.; non è massone o gesuita (n.d.r.: soprattutto di quelli contemporanei, direttori di antiche riviste “cattoliche”); dichiara all’agente delle imposte il suo vero reddito; mantiene la parola data anche a costo di perderci, eccetera: questi è un fesso. (…) L’Italia va avanti perché ci sono i fessi. I fessi lavorano, pagano, crepano. Chi fa la figura di mandare avanti l’Italia sono i furbi che non fanno nulla, spendono e se la godono. Il fesso, in generale, è stupido. Se non fosse stupido, avrebbe cacciato via i furbi da parecchio tempo”. Firmato: Giuseppe Prezzolini, Firenze, 1921



Una volta anch’io pensavo che parole di questo tenore fossero il distillato di una mentalità qualunquista da conservatore d’accatto, tanto arcigno quanto zucca vuota. Una volta… oggi no, a 52 anni suonati, ho capito – fesso qual sono, caro Prezzolini – che l’Italia del 1921 e quella di quasi cent’anni dopo, quella attuale, non è antropologicamente mutata. Lo è storicamente, tecnologicamente, in qualunque altra modalità vogliate porre la faccenda, ma sul piano della lunga durata, dei comportamenti strutturalmente da cariatide imperitura, siamo ancora alla deriva descritta da quel machiavellico sagace e solitario, diavolaccio di ingegno italico, che fu Prezzolini.



Vengo, ora, al punto: le bollette elettriche non pagate saranno a carico di tutti gli altri consumatori. Se non fosse vero, sarebbe da incorniciare come un pesce d’aprile lanciato come “prova tecnica” fin dal carnevale. Ma così non è: tutto vero, un distillato di verità. Il mondo dei furbi è vasto e diventa un sistema. Ecco il punto. Cosa fanno i furbi? Diventano dominatori del combinato disposto prodotto da uno Stato che fa pagare insieme bolletta della luce e canone Rai. Non mi cimento neanche per un istante a criticare aspramente questo mix statolatrico e colmo di sprezzo della dignità del cittadino, mi limito a constatare che il sistema dei furbi parte dall’alto e scende giù per li rami.



I furbi non pagano le bollette e – udite, udite – usano violentemente e sistematicamente il cosiddetto “mercato libero” dell’energia per fare, con un clic del mouse, “turismo delle bollette”, facendo circolare morosità. Morosità che, come i derivati dal 2008 a oggi, diventano non solo spam da ripulire, ma la nuova forma del sistema. Dunque, dal dolo individuale e microeconomico si passa alla corruzione – nel senso tecnico e oggettivo – del sistema della riscossione delle bollette, ergo del sistema economico collegato al nuovo mercato “libero” dell’energia.

In un Paese in cui, se nomini, anche solo di sfuggita, la categoria di “responsabilità personale” devi fare come ho fatto ora io, ossia devi metterci le virgolette, è chiaro che la dittatura dei furbi lestofanti si trasformi in “machina machinarum”, come il Leviatano di Hobbes, ma in un senso che i più intenderanno rettamente, ossia non hobbesiano. La Triade della “machina machinarum” in azione è nota a tutti: Tar, Consiglio di Stato e, infine, l’Autorità dell’energia. Quest’ultima, mandataria di uno speciale Verbo che, in età di privatizzazioni senza liberalizzazioni, rende una palude di stracci e furbi un “mercato libero”. E poi qualcuno osa mettere in discussione la forza del nominalismo linguistico, ma quanti fessi ci sono ancora in Italia: infatti, Prezzolini docet.

Lo schema ricorre e incorpora l’azione di furbi, furbetti (ossia, furbi, di grado ontologico derivato, i vassalli dei furbi) e i furbettini (i valvassori, in sostanza): dalle banche in emergenza e crisi che gridano alti lai al cielo e quindi vengono “salvate” (notare il lessico leggermente messianico-apocalittico), visto che i libri in tribunale li devo portare io, li devi portare tu, li dobbiamo insomma portare noi, ma non “loro”. (Questo, sia chiaro, va al di là delle piazze di gente con i forconi a causa dei risparmi andati in fumo, perché questo richiederebbe una parentesi nella parentesi troppo articolata, magari un altro “graffio”, più in là).

Qui mi limito a constatare che lo schema privatizzazione degli utili – infatti, ecco le “privatizzazioni” – e socializzazione delle perdite si incardina nel dettato prezzoliniano di cui sopra e che certamente lascerà delusi molti seriosi analisti di sociologia politica che vedranno in ciò molto di più, dinamismi sociali variegati, il potere relazionale, e via discorrendo. Francamente, quando, per afferrare che mi stanno fregando ancora una volta, devo andare a compulsare un paio di dizionari di diritto privato scritti da qualche furbo di carriera, allora, piaccia o meno a costoro, mi tengo stretto il caustico e virulento Prezzolini e sbaracco la mia biblioteca da tutte queste minchiate di intellettuali organici al regime dei furbi, dunque, per proprietà transitiva, furbi anch’essi.

Un grande storico come l’olandese Johan Huizinga scrisse in un saggio finito purtroppo nel dimenticatoio – La crisi della civiltà – nel 1935, quattordici anni dopo Prezzolini: “La condizione di ciò che si chiama il modo di pensare popolare, non solo è in crisi, ma per giunta in una crisi dissolvitrice e grandemente pericolosa”. “Il modo di pensare popolare” corrisponde, grosso modo, al riconoscimento dell’evidenza di chestertoniana memoria secondo la quale d’estate “l’erba è verde”, il sano senso comune della nonna, come si diceva una volta, insomma.

Ecco allora che il mondo viene rovesciato dai furbi e, dopo aver compiuto il prodigio storico, si domanda la necessaria complicità ai fessi, i quali, riluttanti nell’anima, devono tuttavia essere accondiscendenti nella pratica, e perciò fare ciò che, da sempre, ossia da quando sono stati dichiarati “fessi” col bollino blu, fanno: pagare.