Giovedì scorso una fredda comunicazione della Consob ha informato che la Fondazione Carimodena ha acquisito in Borsa il 3% della Banca Popolare dell’Emilia Romagna. In sé è parsa una notizia di media significatività. Carimodena è una Fondazione non di prima fascia che ha deciso di rilevare un quota minore della Popolare “di casa”: nel cui azionariato è presente da molti anni un’altra Fondazione (Banco Sardegna con il 3%), mentre il primo azionista è il colosso assicurativo Unipol (10%), cardine del sistema delle cooperative emiliane. La fotografia è quella – relativamente ordinaria – di una Popolare trasformata in Spa dopo la riforma e i cui assetti di controllo sono in via di stabilizzazione, per linee abbastanza tradizionali.



Il passaggio assume un rilievo certamente diverso nel “non detto” – o non ancora detto – della Fondazione Carimodena: che da un ventennio è azionista stabile di UniCredit. La partecipazione è divenuta relativamente piccola, detenuta fra l’altro in Carimonte Holding, cassaforte in comune con il Monte di Bologna e Ravenna. Il pacchetto era stimato nello 0,50% dopo un’adesione parziale all’aumento di capitale di un anno fa. Naturalmente le soglie segnaletiche Consob non obbligano Carimonte e le sue Fondazioni a dichiarare né i possessi correnti in UniCredit, né eventuali vendite. Nel frattempo tuttavia, l’unico vicepresidente in carica in UniCredit – fino all’assemblea di aprile – resta il giurista bolognese Vincenzo Calandra Buonaura, designato proprio da Carimonte. E nella lista già predisposta per il rinnovo triennale del consiglio compare Cesare Bisoni – economista dell’Università di Modena – indicato dai media come “rappresentante unico delle Fondazioni” in UniCredit (oltre alle due di Carimonte, ci sono Crt, CariTrieste e Cariverona, quest’ultima però da anni fuori dal board).



La mossa di Carimodena su Bper è stata finanziata con qualche disimpegno da UniCredit? Con quali motivazioni ed effetti sui vari scacchieri? In attesa di elementi puntuali, le ultime evoluzioni di Piazza Affari (brusca correzione indotta da Wall Street seguita da rimbalzi) hanno portato alla ribalta proprio i titoli delle Popolari: non solo Bper (+15% da inizio anno), ma anche Banco Bpm (idem). E ci ha pensato uno dei broker leader in Piazza Affari – Equita – a dar conto di una fitta circolazione di indiscrezioni e congetture. Al centro vi è il destino di un’altra Popolare – il Credito Valtellinese – che proprio oggi lancia in Borsa un impegnativo aumento di capitale anti-crisi (700 milioni): Basterà l’operazione, assistita da un folto consorizio di garanzia guidato da Mediobanca sotto una supervisione particolarmente attenta da parte della Consob? Analisti e investitori sono propensi a pensare che il Creval centrerà l’obiettivo, ma avrà comunque bisogno di una partnership: e la Bper è da sempre fra i poli aggreganti indiziati, a lato della Popolare di Sondrio.



Ma lo stesso Mps – rimesso sulle sue gambe da un’imponente ricapitalizzazione pubblica – difficilmente può pensare di proseguire in autonomia, anzi: subito dopo il voto (e il ministro-azionista Piercarlo Padoan è candidato a Siena) è assai probabile che verrà avviata la riprivatizzazione del Monte. E BancoBpm è oggi il primo candidato a un’aggregazione che – negli auspici – dovrebbe costruire un nuovo grande polo italiano dalle molte turbolenze economico-finanziarie.

In ogni caso: il 5 marzo potrebbe dare lo start a un definitivo riassetto post-crisi del sistema bancario nazionale. Imperniato sulle Popolari. E con le Fondazioni protagoniste di una fase nuova.