E così pare che nei cieli italiani dovrebbe iniziare a operare una nuova compagnia aerea a livello non solo nazionale ma intercontinentale: Air Italy. Curiosa la storia di questo vettore che, nato nel 2005 dalle ceneri della fallita Air Europe, di cui rilevò molti dipendenti, a sua volta venne inglobato in Meridiana (ex Alisarda) nel 2011. La successiva crisi del vettore sardo (sorse nel 1964 per conto dell’Aga Khan come supporto aereo del progetto Costa Smeralda) si risolse nel 2017 quando il vettore emiratino Qtar Airways acquistò il 49% della compagnia con base a Olbia. È di questi giorni l’annuncio non solo del cambio di nome della linea aerea (facendo ritornare quello di Air Italy), ma anche un notevole ampliamento delle attività e della flotta: di fondamentale importanza non solo il trasferimento delle attività dalla storica Olbia a Milano Malpensa, ma pure l’inserimento nel tempo di modernissimi Boeing 737-800 Max (20) e dei nuovissimi Boeing 787 destinati al lungo raggio (30 velivoli).
Nascerebbe così, almeno nelle intenzioni del Ad di Qatar Aiways, Akbar Al Baker, un vettore concorrente di Alitalia nel nostro Paese. Con prospettive di sviluppo impressionanti (sempre nelle dichiarazioni) che porterebbero la società sarda a diventare “il brand numero uno in Italia, visto che abbiamo le risorse per farlo. Vedrete che la stella dei cieli italiani saremo noi”.
A dire il vero pure il varo dell’operazione Etihad-Alitalia, il 10 agosto 2014 portò a dichiarazioni simili pure da parte del nostro ex Primo ministro Renzi, che promise, con i nuovi proprietari emiratini, un incredibile rafforzamento e ammodernamento della flotta attraverso il cospicuo inserimenti di velivoli per il lungo raggio. Il botto però sfortunatamente rimase nelle bottiglie di spumante forse stappate per l’occasione e soprattutto nel sostanziale crac della stessa (pure lì la percentuale emiratina era del 49%) che si risolse nel secondo fallimento (ma sarebbe da dire il terzo) di Alitalia, tornata in Amministrazione controllata.
È logico pensare e augurare a questa nuova compagnia il successo dell’operazione, ma allo stesso tempo questo fatto impone una nuova visione dell’intera operazione Alitalia e anche, sopratutto, un radicale cambiamento delle regole e delle strategie del trasporto aereo nel nostro Paese. Per Alitalia la situazione si complica perché in tempi brevi la nostra ex compagnia di bandiera ha un vitale bisogno di nuovi e massicci investimenti, visto che bisogna ammodernarne la flotta, specie sul lungo raggio, dato che il potenziamento promesso da Etihad non è mai arrivato (ma Alitalia non è stata l’unica vittima delle sue politiche, visto che tutti i vettori europei da lei partecipati sono falliti). La compagnia funziona e sta tornando rapidamente all’utile, dimostrando quanto negli anni avessero ragione le proteste dei dipendenti sugli sprechi colossali commessi sia quando era statale, sia sotto il controllo dei berlusconiani “capitani coraggiosi”, ma deve assolutamente ammodernarsi, altrimenti non può continuare a lungo. E il cambiamento deve essere notevole, visto che la concorrenza a Malpensa, se si realizzerà il piano di Air Italy, sarà mortale per Alitalia.
Tutto ciò però sarà irrealizzabile senza l’applicazione delle regole, già esistenti da anni, ma semplicemente ignorate per venire incontro al fenomeno low cost (leggasi Ryanair in particolar modo) con le conseguenze che tutti ormai conosciamo. La politica dovrebbe quindi fare la sua parte, finendola di sparare “calendate”, ma operando attraverso una radicale trasformazione dell’Enac a tutti i livelli, sopratutto dirigenziali. Il traffico aereo italiano deve svilupparsi liberamente, ma con uno Stato vigile. Altra cosa importantissima da realizzare è quella di un contratto finalmente nazionale per le varie categorie del settore che ponga una volta per tutte la parola fine alla lowcostizzazione delle condizioni e dei salari dei lavoratori: il trasporto aereo è basato su di un altissimo know-how che deve essere mantenuto a livelli notevoli per salvaguardare al massimo il fattore sicurezza.
Ah, viene da pensare come nel 1998 Alitalia, alleatasi con Klm e operante su due hub, aveva avuto l’opportunità di trasformarsi nel più grande vettore aereo europeo: sogno castrato proprio dalla politica, che non seppe, come nel resto dell’economia in generale, creare un Sistema Paese. Altri Stati lo hanno fatto e la mossa si è rivelata vincente: speriamo che un cambio radicale proveniente dalle prossime elezioni lo realizzi in tempi brevi, anche se ormai mi pare troppo tardi. Ma la speranza è l’ultima a morire, anche se la logica in Italia pare essere un fattore impossibile da raggiungere.