Giocando d’anticipo sulla scadenza elettorale, il presidente dell’Acri Giuseppe Guzzetti ha delineato il momentum delle Fondazioni di origine bancaria: che restano centrali nell’intelaiatura-Paese dei corpi intermedi. “Nelle situazioni dove ci sono delle fondazioni in difficoltà che trovano altre fondazioni perchè non dovremmo essere a favore?” Una risposta pronta e netta a una richiesta di commento su vari rumori di cronaca: il presidente della Fondazione CariCuneo, Giandomenico Genta, che preannuncia un cantiere di aggregazione con la vicina Fondazione Cassa Bra; le indiscrezioni sulle valutazioni in corso da parte di Fondazione Cariverona su Cassamarca e sulle Fondazioni delle Marche; l’emergenza dichiarata dalla Fondazione CariFerrara, in cerca di un “cavaliere bianco” che eviti la liquidazione. Guzzetti, presidente di Cariplo e Acri, non ha indugiato a fornire un pieno endorsement a tutte le iniziative in corso, sollecitando l’apertura di dossier ancora socchiusi.Fra cento giorni è in programma a Parma il ventiquattresimo congresso nazionale dell’Acri e sotto il titolo “Identità e cambiamento” le Fondazioni italiane stanno preparando un’agenda precisa.



Dal 2008 in poi, la crisi finanziaria globale e la recessione italiana hanno colpito duro anche gli Enti: le partecipazioni bancarie hanno registrato perdite importanti di valore e hanno ridotto o addirittura cessato la corresponsione di dividendi (non trascurando lo sforzo straordinario sostenuto dalle Fondazioni attraverso Atlante per la messa in sicurezza delle Popolari venete). Gli stessi investimenti finanziari si sono misurati con mercati turbolenti e “a tassi zero”. Il settore immobiliare è stato, in pari misura, fonte più di rischi che di opportunità. Non mancano certo spiegazioni alle crisi di molte fra le 88 Fondazioni associate all’Acri: qualche volta azzoppate dai dissesti bancari (Banca Marche, Carichieti, Cariferrara, ma a che Mps o Carige), oppure ormai troppo piccole per poter affrontare il mandato affidato dalla riforma Amato-Carli (1990), dalla legge-quadro Ciampi-Pinza (1998), dall’autoriforma siglata nel protocollo Acri-Mef del 2015. E’ stato quest’ultimo a impegnare esplicitamente le Fondazioni ad avviare un riassetto-consolidamento interno attraverso aggregazioni: fusioni o altre sinergie utili ” alle fondazioni locali per far sì che possano continuare a intervenire nei loro territori” (Guzzetti ieri).



All’inizio del 2018 è l’ora dei fatti: al Congresso di giugno non è escluso che sia presente il nuovo ministro dell’Economia, autorità vigilante del settore. Se a maggior ragione dovesse essere confermato nell’incarico Piercarlo Padoan – firmatario del protocollo 2015 – è comprensibile che le Fondazioni vogliano presentarsi all’appuntamento con almeno una parte dei “compiti a casa” fatti o almeno impostati. Guzzetti e i suoi colleghi presidenti non partono da zero: il progetto Fondazione per il Sud è un precedente sostanziale (le Fondazioni del centro-nord hanno costituito un fondo patrimoniale per un’area in cui gli enti non avevano più trovato condizioni per continuare in chiave di autonomia locale). I futuri piani di fusione – ha piuttosto ricordato ieri il presidente dell’Acri – sarebbero facilitati da qualche incentivo fiscale: che accompagnò, ad esempio, la prima stagione degli accorpamenti bancari. La pressione tributaria ordinaria e straordinaria sulle Fondazioni ha già superato la “linea rossa”: la volontà del settore di auto-consolidarsi è dichiarata e risponde all’identità stessa delle Fondazioni, che la Corte costituzionale ha dichiarato modelli dello sviluppo della sussidiarietà nel sistema-Paese.

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