Dal primo gennaio 2018 la borsa di Milano ha fatto meglio di quelle dei principali Paesi europei (Francia, Germania e Spagna inclusi). A una settimana dal voto o il mercato non si è ancora accorto che in Italia ci saranno le elezioni oppure pensa che non siano un problema. Possiamo escludere abbastanza tranquillamente la prima ipotesi per concentrarci sulla seconda e chiederci perché. La spiegazione potrebbe essere che il mercato sia convinto che dalle elezioni di domenica prossima uscirà un governo “responsabile” e buono. Le capacità predittive dei mercati non si sono dimostrate particolarmente spiccate in occasione di tornate elettorali. In altri termini nessuno sa cosa uscirà dalle urne e quali combinazione di partiti sosterrà il prossimo governo. Non lo sappiamo noi e non lo sanno i mercati. Sappiamo però che uno degli scenari possibili è una vittoria dei 5 stelle che in teoria non dovrebbe lasciare tranquilli gli investitori.
Ci deve quindi essere un’altra interpretazione che spieghi la tranquillità con cui i mercati hanno dimenticato le elezioni italiane. Negli ultimi anni le votazioni che hanno disturbato davvero i mercati sono state quelle che hanno messo in discussione l’Unione europea. Il referendum sulla Brexit e le elezioni francesi con un partito dichiaratamente anti-euro al ballottaggio hanno lasciato il mercato sospeso per mesi. È questa la ragione per cui a nessuno importa delle elezioni italiane perché né Berlusconi, né il Pd, né il Movimento 5 Stelle sono anti-euro o anti-Europa. Chiarito questo dubbio tutto il resto non conta perché la politica economica italiana viaggia sul pilota automatico delle decisioni europee.
Una crisi del debito italiano è inconcepibile se l’Unione europea entra in campo come ampiamente dimostrato nel 2012 con l’intervento di Draghi. Viceversa una crisi del debito italiana è il prodotto dell’Unione europea o nella misura in cui impone la sua politica, l’austerity, a un governo riottoso o nella misura in cui “produce” un riequilibrio dei suoi rapporti interni a danno di uno dei suoi membri. L’unica vera variabile che interessa ai mercati è se ci sia un governo che minacciando lo status quo europeo inneschi la reazione dell’establishment continentale contro l’Italia o se lo status quo venga minacciato da un governo anti-euro.
L’Europa è in grado di provocare o fermare una crisi italiana in qualunque momento a prescindere dalla performance economica del nostro Paese. Basta imporre un rientro del debito in un contesto economico globale magari difficile o imporre alle banche italiane di liberarsi dei Btp o un qualsiasi altro innesco, dato che l’Italia non ha più sovranità monetaria, bancaria, ecc.; basta, per esempio, cominciare a dichiarare ai quattro venti che l’Italia è un problema per far capire ai mercati l’aria che tira, far partire una crisi del debito e poi “risolverla” con l’austerity dopo un bel bagno in borsa. Oppure basta dire che l’euro verrà difeso a ogni costo.
Quello che è interessante è che nemico del “mercato” in quanto nemico dell’establishment europeo non è solo chi è contro l’euro, ma anche chi vuole riformare nella sostanza l’Europa in questo minacciando gli attuali equilibri. Poniamo che in Italia ci fosse un governo europeista che con forza ponga la questione del surplus commerciale tedesco o dell’austerity o degli investimenti in infrastrutture o della disoccupazione greca; anche in questo caso quello che accadrebbe nella sostanza sarebbe una minaccia per chi oggi controlla l’Europa e incassa i dividendi e anche in questo caso sarebbe legittimo aspettarsi una reazione per mantenere gli equilibri attuali che hanno, palesemente, dei vincitori e dei perdenti. Anche in questo caso la reazione dell’establishment europeo passerebbe, inizialmente, per i mercati finanziari contro l’Italia.
Il mercato è convinto che dalle prossime elezioni italiane non uscirà niente che possa cambiare gli equilibri europei. Speriamo che sbagli perché non è un bene per l’Italia e su questo fronte ci dovrebbero essere sia i populisti anti-euro che gli europeisti che vogliono cambiare l’Europa dando all’Italia, nel processo, un ruolo diverso.