Tutto bene. O forse no? Si alternano sui media due letture antitetiche dell’attuale fase dei mercati. La prima, avvalorata dalle parole di Donald Trump nel suo primo discorso sullo stato dell’Unione, è quella della crescita sana che accelera (in questo momento è sopra il 4% negli Stati Uniti e vicina al 3% in Europa) e degli utili in forte crescita (in America molto più che in Europa). La seconda, che affiora con sempre maggiore insistenza, è quella della crescita drogata e surriscaldata che costringerà le banche centrali a frenare o, se proprio non vogliono frenare per motivi politici, ad accettare l’inevitabile arrivo dell’inflazione. Il “morbo” che la Germania teme e detesta più di ogni altra minaccia, che agli occhi dei falchi si sta materializzando sotto la spinta delle rivendicazioni salariali avanzate dai metalmeccanici d’oltre Reno. Insomma, l’inflazione, ricacciata nell’ombra dalla rivalutazione dell’euro che comprime il costo dell’energia espresso in dollari, per ora non si vede, ma molti, nel mercato, dicono di sentirne l’odore.
Di qui la prospettiva di un andamento ondivago dei mercati, ancora non sazi dopo il grande rialzo. C’è chi teme la grande Bolla, fase suprema del rialzo, e chi ha più paura di una frenata troppo rapida che possa far ripiombare il mondo, ancora convalescente, in una grande recessione. E i più pessimisti già paventano la combinazione di un doppio errore: una frenata troppo timida, per non innervosire i piani del presidente Trump, seguita da una stretta troppo rigida, per sgominare l’ascesa del costo del denaro fuori controllo. Qualcosa di simile alla frittata che negli anni Settanta provocò la stagflazione, combinazione tra la stagnazione e la corsa dei prezzi provocata dall’intervento tardivo della Fed, condizionata dall’esigenza di sostenere la spesa militare provocata dal conflitto del Vietnam.
Al centro di questa doppia narrazione si pongono le due novità in arrivo dagli Stati Uniti. La prima riguarda l’alleanza a tre annunciata da Jeff Bezos, Warren Buffet e Jamie Dimon. Il numero uno del nuovo commercio si è alleato al mito di Wall Street e al banchiere più importante d’America per lanciare una sfida rivoluzionaria: avviare dal basso la riforma della Sanità americana, coinvolgendo Amazon (650 mila dipendenti, per ora), Berkshire Hathaway (da cui dipendono le più importanti riassicurazioni americane) e Jp Morgan (con il database di milioni di clienti). L’obiettivo è di dimostrare che facendo ricorso all’economia digitale e all’efficienza di un sistema di controlli tanto sofisticato quanto efficace si può tagliare la spesa sanitaria, che oggi è al 18% del Pil americano, senza peggiorare, anzi con grandi benefici per la qualità dell’assistenza. I risultati, se ci saranno, si vedranno nel tempo.
Per ora possiamo limitarci a dire che: 1) tre colossi dell’economia Usa si stanno attrezzando per invadere, con il consenso di Washington, il terreno del welfare. 2) l’iniziativa è bipartisan, viste le simpatie di Jamie Dimon, patron di JP Morgan, per Donald Trump (che l’avrebbe voluto al Tesoro), la vicinanza di Buffett ai democratici (cosa che non gli ha impedito di fare quattrini a palate puntando sul nuovo presidente), la manifesta ostilità verso il presidente di Jeff Bezos, proprietario del Washington Post, probabilmente il quotidiano più ostile alla Casa Bianca. 3) il digitale, che tanta parte ha avuto secondo molti nel frenare il rialzo dei prezzi (e l’occupazione) invade un altro spazio della politica economica, con l’obiettivo di tagliare i costi: il fisco leggero dev’essere il frutto di riforme non dei deficit.
Nel frattempo, i conti di fine anno hanno regalato altre sorprese. Dal bilancio di Amazon è emerso uno sconto fiscale di 800 milioni di dollari per il gigante dell’e-commerce che li investirà nella creazione di nuovi posti di lavoro, magari con il braccialetto elettronico. Apple, invece, ha detto che, stante lo sconto previsto dalle nuove leggi fiscali, rimpatrierà negli Stati Uniti 163 miliardi di dollari cash sparsi in giro per il mondo, con benefici immediati per gli azionisti e la bilancia dei pagamenti Usa. I tagli di tasse, così come l’iniziativa sulla Sanità, diventano quindi misure strutturali che hanno l’obiettivo di allungare il ciclo indipendentemente dalle misure sui tassi che verranno rese dalla Federal Reserve.
La flessibilità del sistema americano diventa così un’arma di politica economica efficace. A differenza dei presuntuosi e assurdi proclami del Bel Paese.