Dopo elezioni politiche del 4 marzo, il Governo che verrà formato avrà, in materia economica, due temi prioritari all’ordine del giorno: a) una manovra di finanza pubblica per terminare il 2018 con saldi in linea con gli impegni presi in sede europea (e senza intimorire la finanza internazionale sulla capacità dell’Italia di ridurre, non di aumentare ulteriormente, il debito pubblico) e b) agganciare il Paese alla ripresa internazionale.
È presto per esaminare il primo punto. Da un lato, il Governo Gentiloni potrebbe – si dice nei Palazzi – effettuare una “manovrina” in articulo mortis. Da un altro, un nuovo Esecutivo vorrà avere i dati della prima relazione trimestrale di cassa (di solito disponibile in aprile), nonché le analisi della Commissione europea (disponibili anche loro in aprile), prima di rimettere mano alla finanza pubblica. Il secondo punto, invece, dovrebbe sin da ora permeare i programmi delle forze politiche che si apprestano a governare il Paese.
La ripresa internazionale in atto differisce dalle precedenti verificatesi quando si è usciti da una recessione che ha interessato aree importanti dell’economia internazionale. In primo luogo, non ci sono solamente un numero limitato di protagonisti che tirano il carro e trainano altre aree e Paesi. È una ripresa diffusa. Ciò la rende più resistente a fasi cicliche (anche solo per ragioni di politica economica interna) di questa o quell’area oppure di questo o quel Paese. Ciò ne aumenta anche la sostenibilità.
La maggiore area dell’economia internazionale, gli Stati Uniti, è nel nono anno di crescita economica. Il Fondo monetario ha appena rivisto all’insù le previsioni Usa per l’anno in corso; secondo le stime aggiornate, a ragione principalmente della riduzione del carico fiscale, quest’anno il tasso di crescita dovrebbe essere del 2,7% , invece che del 2,3%, come precedentemente stimato. In Cina non c’è più il timore di una brusca frenata dopo due decenni di rapido sviluppo: i venti maggiori istituti econometrici internazionali pongono l’aumento del Pil cinese dell’anno in corso tra il 5,9% e il 6,9%. Pure il Giappone pare risvegliato da un lungo letargo: quest’anno l’economia nipponica si espanderebbe del 2,5% circa. L’area dell’euro pare non essere più anemica: le stime di crescita vanno (a seconda degli istituti) dall’1,8% al 2,8% per questo 2018; in questo quadro l’Italia, con stime tra l’1,1% e 1,9% non fa una grande figura e a maggior ragione occorre agganciarsi al ciclo economico mondiale prima che nuovamente si indebolisca.
Proseguiamo nel quadro internazionale. L’aumento delle quotazioni del petrolio ha fornito un forte stimolo al Medio Oriente e al Messico. Lo stesso Brasile, pur se in caos politico, mostra segni di ripresa. Pure l’Africa a sud del Sahara è in una fase di espansione che non si conosceva da anni. In sintesi, le stime aggiornate del Fondo monetario parlano di una crescita annua dell’economia mondiale del 3,9 % per quest’anno e per il prossimo, rispetto a una del 3,7% per il 2017 e una del 3,2% per il 2016.
È una ripresa non priva di rischi che potrebbero causare una brusca marcia indietro. Sono agguati principalmente politici. Al recente Foro Economico Mondiale di Davos, un’inchiesta condotta tra circa mille specialisti ha concluso che il 93% degli intervistati vede un crescente rischio politico di conflitti tra le maggiori aree dell’economia internazionale; il 79% teme uno scontro militare; il 73% un conflitto sulle regole di base del commercio. Quindi, nonostante gli accenti rassicuranti, in materia commerciale, del Presidente degli Stati Uniti Donald Trump nel recente discorso sullo stato dell’Unione, ci sono tensioni internazionali che potrebbero mettere in pericolo la pace internazionale; non per nulla, il settimanale The Economist del 27 gennaio ha dedicato la copertina e un “rapporto speciale” alla “prossima guerra”.
Anche se non ci saranno scontri armati a livello internazionale (ce ne sono numerosi in corso a livello locale), questi elementi indicano che la ripresa è fragile. Quindi, è urgente agganciarsi a essa presto. Non è chiaro in che misura le forze politiche abbiano metabolizzato l’esigenza di fare presto. Il programma del Partito Democratico, ad esempio, propone di continuare la strada iniziata con il Governo Renzi estendendo e ampliando misure come gli 80 euro. I programmi di Liberi e Uguali e del Movimento Cinque Stelle pongono l’accento sulla riduzione delle differenze di reddito e di ricchezza e sui rapporti con le istituzione europee, più che sulla crescita. Il programma del centro-destra ha come elemento portante una “rivoluzione fiscale” (la flat tax) che è difficile attuare in tempi brevi.