La notizia di richieste pervenute agli sportelli di Caf e Centri per l’impiego in alcuni comuni del Sud ha riportato alla ribalta la proposta targata Movimento 5 Stelle del reddito di cittadinanza: 780 euro al mese (e anche integrazione per chi ha salari o pensioni più basse di tale soglia) per chi è senza occupazione, a patto che si iscriva ai Centri per l’impiego, segua dei programmi di formazione e non rifiuti più di tre proposte di lavoro. Un intervento di cui si dibatte da tempo e che in altri paesi è presente con forme diverse. “In Italia dieci anni di crisi e una ripresa molto anemica hanno compresso più del dovuto, in alcune aree del Paese e per alcuni gruppi sociali, i redditi e i salari. Quando si lavora, vista la disoccupazione ai livelli che conosciamo”, ci dice Luigi Campiglio, Professore di Politica economica all’Università Cattolica di Milano, per spiegare l’alto riscontro che sta avendo questa misura, sebbene sia ancora sulla carta.



Qual è in ogni caso il suo giudizio sul reddito di cittadinanza?

Diciamo anzitutto che ha un risvolto importante anche per chi un lavoro ce l’ha. Cresce infatti il numero dei working poor, cioè di coloro che pur lavorando hanno un reddito molto basso. In altri paesi europei si è affrontato il problema fissando per legge un salario minimo: in Francia di 1.480 euro al mese, in Germania di 8,84 euro l’ora. L’Italia è tra i pochi paesi europei privi di una misura del genere: non basta più la contrattazione dei sindacati. Dunque, chi lavora troppo spesso guadagna poco e ciò amplia le disuguaglianze. Per chi lavora, un salario minimo orario, attraverso il reddito di cittadinanza, può essere un fattore importante e positivo.



Il reddito di cittadinanza viene però principalmente associato a una forma di sostegno per chi un lavoro non ce l’ha…

Se abbiamo di fronte un problema di difficoltà economiche così forti, che generano disgregazione sociale, probabilmente dobbiamo affrontarli di petto. Quindi non solo dal punto di vista del mercato del lavoro, ma anche considerando i beni e i servizi che sono più importanti per l’individuo e la famiglia. Penso alle cure sanitarie, all’alimentazione e alla casa. Per questo credo che il reddito di cittadinanza dovrebbe offrire non solo l’opportunità di lavorare, ma anche servizi in natura. Principalmente nell’ambito della sanità e dell’istruzione, tenendo anche conto dei bisogni, che variano a seconda dell’età. 



Già oggi però, almeno sulla carta, sanità e istruzione sono servizi gratuiti.

Queste due categorie di servizi devono funzionare bene ovunque. E devono davvero essere gratuite per chi ha bassi redditi, che non vuol dire essere ridotti alla fame. Se vediamo il meccanismo dei ticket sanitari o pensiamo alle cure dentistiche, ci accorgiamo che non si tratta di servizi gratuiti per tutti coloro che sono in situazioni critiche. Sto parlando quindi di servizi a 360 gradi, ma non concessi gratuitamente a pioggia, bensì come diritto per alcuni. 

Tutto questo ha però dei costi importanti. Dove trovare i soldi necessari?

Nelle analisi che si fanno sul welfare è noto che c’è una maggiore disponibilità da parte del cittadino medio ad accettare un prelievo fiscale se questo va esattamente a chi ha bisogno in natura. I soldi ci sono, ma anziché fare delle operazioni nel mucchio occorre mirare a degli obiettivi specifici: allora sì che gli interventi funzionano e si colmano dei divari.

Lei concretamente come agirebbe? Quanta parte del reddito di cittadinanza darebbe attraverso un sussidio monetario e quanta in forma di servizi?

Non si va da nessuna parte se non si considera che le persone sono diverse. Vanno individuati dei gruppi e delle aree sia sul piano sociale che territoriale. Del resto ciò che basta per vivere a Palermo è assolutamente insufficiente a Milano. Idealmente credo che la prestazione vada data metà in natura e metà in forma monetaria, ma la “quantità” dovrebbe variare a seconda dell’area territoriale e dell’età del percettore. Occorre una base uniforme e poi una differenziazione. Aggiungo che nei servizi bisognerebbe includere anche quelli relativi alla casa, con una vera riqualificazione delle periferie. In ogni caso il reddito di cittadinanza da solo non basta.

In che senso professore?

Sa qual è il rischio vero del reddito di cittadinanza? Che le tre offerte di lavoro non arrivino mai, se non per occupazioni di basso livello e con bassi salari. Il problema di fondo è quindi la crescita di un Paese dove dal 2013 in poi gli investimenti netti sono diminuiti per la prima volta nella storia in tempo di pace. Bisogna perciò anche rimettere in moto l’economia, altrimenti le offerte di lavoro non arriveranno mai. E la risposta vera al problema che si vuol affrontare con il reddito di cittadinanza è il lavoro, con adeguati salari.

(Lorenzo Torrisi)