Elliott ha dato un’ulteriore accelerazione al suo intervento in Telecom Italia chiedendo le sostituzione dei componenti del cda espressione di Vivendi ed evidenziando i problemi della gestione del gruppo francese. Elliott ha anche chiesto la quotazione della rete a cui si oppone Vivendi. Le parti in campo sono quattro: il fondo Elliott, Vivendi, che oggi ha il controllo, il “mercato” e il Governo italiano. In questo campo si possono vedere tre interessi diversi.
Partiamo dai più semplici. Quello di Elliott è che le proprie azioni, in Tim, salgano il più possibile, rischiando il meno possibile in un lasso di tempo ragionevole. Questo “disegno” presuppone che Telecom Italia non sia gestita al meglio, il rischio è basso, e che si riesca a rendere più esplicito il valore del gruppo. Per rendere più esplicito il valore del gruppo si propone la separazione della rete che è nettamente l’asset più importante per Telecom e che oggi rappresenta il migliore degli asset per gli investitori. Non solo, Elliott crede che una nuova gestione, non targata Vivendi, darebbe comunque risultati migliore perché Vivendi nella sua azione avrebbe privilegiato i propri interessi e non quelli della società.
È un’accusa che non sembra campata per aria visto che la joint venture tra Tim e Canal plus ha fatto storcere il naso a moltissimi investitori e visto anche l’obbligo di cessione di Persidera che si impone a causa dell’altra partecipazione italiana di Vivendi in Mediaset; altri episodi rafforzano l’impressione di un “conflitto di interesse” tra Vivendi e gli azionisti di Telecom. Elliott lamenta infine la sproporzione tra la percentuale detenuta da Vivendi, il 25%, è l’effettiva presa sulla società con manager legati a Vivendi nominati in posizione chiave. Vivendi nei fatti ha il controllo senza aver pagato il premio al mercato. L’interesse del mercato coincide con quello di Elliott perché Tim è controllata da un altro e diverso soggetto “industriale”, con tutto quello che ne consegue, senza che sia stato pagato un premio.
L’interesse di Vivendi è che la situazione rimanga immutata, dato che attualmente incassa tutti i dividendi industriali e strategici del controllo di Telecom Italia senza aver pagato un premio per il controllo. L’interesse del Governo italiano è che qualcuno in qualsiasi forma investa nella rete in Italia. Quanto questo sia compatibile con azioni speculative è una questione esattamente come tale obiettivo sia perseguibile con un azionista di controllo nell’ex monopolista telecom che sembra privilegiare i propri esclusivi interessi e non quelli della società.
Dal punto di vista del Governo italiano, visto quello che è accaduto in Tim, è preferibile che la rete sia in una società autonoma, fusa con gli attuali “concorrenti”, magari quotata e che in questa società possa mettere una partecipazione, a presidio, tramite qualche veicolo “statale”. A questo punto sarebbe più difficile vedere sulla rete italiana le operazioni che abbiano visto negli ultimi anni. Sarebbe un veicolo, neutro, con delle regole chiare che produce investimenti e dividendi per tutti gli azionisti in un certo senso come Snam o Terna. È un risultato che vorrebbe vedere anche Elliott.
Elliott ha capito che dalla sua parte ci dovrebbe essere anche il Governo italiano perché gli interessi di quest’ultimo sono molto più convergenti con i suoi che con quelli di Vivendi; forse anche per questo è così coraggioso. Il problema è che lo Stato italiano molto spesso non è riuscito a fare i suoi interessi e che contro di lui gioca una società con la maglia francese. Bisognerebbe chiedersi in altre parole se vista la piega che stanno prendendo gli eventi, con la valanga Elliott che si rafforza di giorno in giorno non scenderà in campo un altro soggetto e cioè il sistema Paese francese. La variabile con cui forse Elliott non ha fatto i conti.