Norwegian è una compagnia che sta cercando di rivoluzionare il business del trasporto aereo. Negli ultimi anni ha investito pesantemente per acquistare aerei a lungo raggio, precisamente negli efficienti Boeing 787 – Dreamliner, per sviluppare quello che è ormai conosciuto come il lungo raggio low cost. Un modello di business iniziato nel Nord Europa, che si è espanso nel Regno Unito e poi nell’Europa Continentale, con l’arrivo recente nel mercato italiano con le prime connessioni da Roma Fiumicino verso il Nord America. A breve anche Milano Malpensa vedrà nuovi voli intercontinentali.



Il modello di business, oltre ad avere aerei estremamente efficienti, si basa come per il low cost a corto raggio nell’offrire un servizio basico come il volo senza fronzoli a prezzi molto aggressivi. Al volo si aggiungono poi i servizi ancillary aggiuntivi (come il bagaglio o il servizio di catering) a pagamento. Diverse compagnie, specialmente nel sud-est asiatico avevano provato a sviluppare questa tipologia di servizio, Air Asia per prima, senza troppo successo, ma negli ultimi anni indubbiamente si sta evidenziando un ritorno di fiamma per queste connessioni (Air Asia X, Cebu Pacific o Scoot solo alcuni degli esempi).



Ma come sta andando questo business? È profittevole? Norwegian ha chiuso il 2017 con un margine (Ebit) negativo di 2 miliardi di Nok (210 milioni di euro), rispetto a un valore positivo l’anno precedente di 1,8 miliardi di Nok (189 milioni di euro). Il dato è molto preoccupante perché a fronte di un’offerta cresciuta del 25% (espressa in posti chilometri offerti), i costi sono cresciuti del 35% e questo mentre la lunghezza media del segmento di volo si sta allungando di circa il 9%. Nei manuali di management dei trasporti s’insegna che quando una compagnia opera voli più a lungo raggio, i costi dovrebbero aumentare in proporzione inferiore rispetto all’incremento dell’offerta, ma così non è stato per Norwegian.



Questo dato preoccupante è dovuto non solo all’aumento del costo del carburante (+45%), ma anche a un forte aumento dei costi operativi (+31,6%). Il grafico qui sotto evidenzia appunto come i costi operativi, ma anche il leasing, abbiano avuto un incremento ben superiore alla crescita dell’offerta di posti chilometri (+24,9%).

 

Un dato incoraggiante per la compagnia arriva dal load factor che rimane su livelli molto elevati, intorno all’86%: tuttavia tale livello è rimasto simile a quello dell’anno precedente anche perché c’è stata una caduta del ricavo medio per passeggero chilometro (yield). La concorrenza è molto elevata e anche in questo caso l’allungamento delle rotte può avere influenzato la caduta dello yield, ma il fatto che questo sia accaduto con il costo per posto chilometro in crescita non è un dato incoraggiante.

Il problema di Norwegian sembra essere quello che sta aumentando molto velocemente la propria flotta (anche di aerei a lungo raggio), senza riuscire a tenere troppo sotto controllo i propri costi. Può questo modello reggere a lungo? Norwegian ha indubbiamente le spalle grosse, ma se la situazione di crisi dovesse accelerare potrebbe ritrovarsi in una situazione non facilissima a fine anno.

La lezione di Norwegian può tuttavia insegnare qualcosa d’interessante anche per la nostra compagnia pagata dal contribuente: Alitalia. Aumentare il load factor e i ricavi dice ben poco rispetto all’andamento della compagnia, soprattutto quando non si hanno i dati di costo. Il secondo insegnamento riguarda il network: lanciare nuove rotte a lungo raggio non è profittevole nel medio periodo perché “costruire” una rotta necessita circa due anni, tanto più se non si ha un sistema di feederaggio forte. Non è un caso che Alitalia continua ad aprire e chiudere rotte a lungo raggio, mostrando non certo una grande redditività delle stesse. Il terzo insegnamento deriva dalla concorrenza e da fattori cosiddetti “esterni”: la pressione sui prezzi rimane molto forte in questo momento e l’andamento del prezzo del petrolio (in crescita nell’ultimo anno) non aiuta a mantenere in equilibrio i conti.

In definitiva, se per Norwegian non sarà facile, per Alitalia e i Commissari la missione è davvero vicina all’impossibile. Vi è tuttavia un’enorme differenza tra la compagnia norvegese e quella italiana: se per Norwegian il contribuente italiano si può non preoccupare, diverso è il caso per Alitalia. Che fine faranno i 900 milioni di euro del contribuente quando ci si accorgerà che la compagnia ha perso decine o centinaia di milioni di euro?