Giovedì sera otto membri del cda di Telecom Italia, incluso il presidente e il vice presidente del gruppo, hanno rassegnato le dimissioni; tra i dimissionari anche Arnaud de Puyfontaine. Con le dimissioni della maggioranza dei membri decade l’intero consiglio; con questa mossa la data dell’assemblea che nominerà i nuovi amministratori si sposta dal 24 aprile al 4 maggio. Secondo Elliott, Vivendi ha solo voluto guadagnare tempo prendendosi altri 10 giorni. Qualsiasi siano le ragioni tutto lascia pensare che il 4 maggio si assisterà a una battaglia assembleare combattuta a forza di deleghe e azioni; da una parte Vivendi con il suo 23,94% di azioni e dall’altra Elliott che proverà a coagulare intorno alle proprie azioni, meno del 6%, abbastanza investitori per superare la società francese.
In questa vicenda ingarbugliata ci sono in realtà alcuni punti fermi. Le battaglie assembleari e gli scontri per la proprietà non fanno bene alle aziende, mettono in agitazione la struttura e impediscono la migliore gestione. Elliott sostiene che la gestione Vivendi non fosse nell’esclusivo interesse della società e che ci fosse un conflitto di interesse tra le esigenze della società di telecomunicazioni italiana e la stessa Vivendi. È un’accusa che sembra molto difficile da rigettare; la cessione di Persidera è solo uno degli elementi che portano in questa direzione.
Il Governo italiano non può essere contento di quanto sta succedendo; non può essere contento che il proprietario della rete sia controllato da un soggetto che probabilmente ha altri interessi, non può compiacersi che l’ex monopolista pubblico cambi azionista e amministratore delegato ogni sei mesi e non può nemmeno essere contento di non avere modo di cambiare la situazione. Quello a cui stiamo assistendo è il “mercato” nel suo massimo splendore e nel caso di asset che controllano beni pubblici e strategici si vedono tutti i limiti in assenza di contrappesi.
Il mercato dovrebbe fare il tifo per Elliott perché l’azione può solo beneficiare da una gestione non in “conflitto di interessi” e perché con la separazione della rete si rende più evidente un asset molto appetibile. Elliott però non ha nessuna velleità di controllo su Telecom Italia; a Elliott interessa solo una performance azionaria in questo caso come risultato di una gestione migliore e di una “alchimia finanziaria”. Dal punto di vista del Governo italiano l’azione di Elliott ha un merito indubbio: riapre una partita che sembrava chiusa con il controllo di Vivendi e la riapre senza obiettivi di controllo.
La governance di Vivendi è stata massacrata sia dal Financial Times che dal Wall Street Journal a più riprese. Per il Governo italiano, se esiste ancora, questo sarebbe il momento di entrare in campo per assicurarsi che la rete telefonica venga gestita nel migliore dei modi per lo sviluppo italiano e non sia l’ennesimo monopolio pubblico che stacca miliardi di euro di dividendi a investitori privati senza nessun apprezzabile miglioramento del servizio.
L’interesse generale vorrebbe che su Telecom Italia il mercato trovi dei limiti e che il Governo abbia una presenza sostanziale; non stiamo parlando di statalizzazione, ma semplicemente di una governance che faccia sentire il peso di un azionista portatore di un interesse generale. Per lo Stato italiano questo è il momento giusto per dare alla rete italiana la migliore collocazione e la migliore cornice.
In attesa dell’assemblea quello che ci “incuriosisce” maggiormente sarà la composizione dei due schieramenti, chi spunterà a fianco di Vivendi e chi a fianco di Elliott. Il mistero sarà svelato tra poche settimane.