Rialzo dei tassi, nuovi dazi, caso Facebook, avvicendamenti nella prima linea dell’Amministrazione Trump. Per l’economia e la Borsa americana è stata una settimana carica di colpi di scena e di fibrillazioni, con pesanti ricadute, nelle ultime due sedute di giovedì e venerdì, sui listini mondiali. In Italia, intanto, la partita del post-voto, ancora assai incerta, entra in una fase delicata, e si teme che i mercati, finora benevoli e pazienti, potrebbero cambiare atteggiamento (come ha già dichiarato il fondo d’investimento Blackrock). Dunque, la domanda è: cosa succederà, da domani, alla riapertura delle Borse?
Lo abbiamo chiesto ad Alessandro Magagnoli, co-fondatore di Financial Trend Analysis, abituato a compulsare ogni giorno dati macro e grafici dell’analisi tecnica: “L’economia Usa cresce, anche se non a ritmi incandescenti, e i dazi non dovrebbero comprometterne troppo il trend; i tassi Usa sono destinati al rialzo, ma il passaggio dall’azionario all’obbligazionario sarà dolce, senza troppi scossoni. In Europa, invece, l’inflazione è prevista in rallentamento e questo dovrebbe aiutare a tenere aperto l’ombrello del Qe ancora per un bel po’ di tempo”. E sulle Borse? “Nasdaq e DJ Industrial sono meglio impostati dell’S&P 500; Piazza Affari invece è debole, ma poche sono le alternative allettanti nel resto d’Europa. Quindi, il consiglio è: rimanere alla finestra”.
Partiamo dallo stato di salute dell’economia americana e di Wall Street. Tra dazi, dimissioni, giganti hi-tech nel mirino e tassi in aumento, la temperatura si sta alzando?
Per rispondere bisogna partire dalla riunione della Federal Reserve di mercoledì scorso, in cui è stato deciso il rialzo dei tassi, il primo di quest’anno, e dal suo aggiornamento sulle previsioni macroeconomiche. In base a quanto comunicato dalla Fed, la crescita americana è ancora buona, ma non dirompente. Nel 2018 è previsto un aumento del Pil del 2,7%, rispetto al +2,5% stimato a dicembre, e anche per il 2019 le stime sono state alzate dal +2,1 al +2,4%. Aspettative buone, che le manovre sui dazi, comunque da monitorare con attenzione, non dovrebbero impattare troppo. Quanto all’inflazione, invece, la Fed conferma il +1,9% nel 2018 e il +2% l’anno prossimo, valori che la Banca centrale Usa considera ottimali. Quindi, crescita sì, ma senza spinte inflazionistiche eccessive. Questo spiega perché i mercati si aspettino due rialzi dei tassi nel 2018 e non tre, come finora pronosticato? Esatto. Questo è un elemento di tranquillità per le Borse, ma è altrettanto vero che il ridimensionamento delle aspettative su soli tre rialzi nel 2018 (e altri tre nel 2019) è un segnale che il ritmo dell’economia è meno forte del previsto, e ciò ha un po’ tarpato le ali a Wall Street. Insomma, il target dell’inflazione è un punto interrogativo per chi guarda non nel breve periodo, ma più lontano.
Com’è la situazione in Europa?
Anche la Bce ha fornito le sue previsioni sull’economia europea nel 2018 e nel 2019. Qui i tassi di crescita sono molto più bassi che negli Usa (+2,4% quest’anno e +1,9% il prossimo) e anche sul fronte dell’inflazione non sono attese fiammate, anzi: confermato il +1,4% nel 2018 e addirittura in frenata, dal +1,5% delle stime precedenti al +1,4% nel 2019. Un’inflazione così fredda è un buon segnale per il nostro Paese… Sì, perché allunga i tempi della chiusura dell’ombrello di Draghi. Il Quantitative easing rasserena i mercati: infatti spread e Btp viaggiano sui minimi.
Torniamo a Wall Street. Trump ha annunciato nuovi dazi. Che impatto potrà avere questa decisione sui titoli della “Corporate America”?
Lo S&P 500, dopo aver toccato i massimi a fine gennaio, ha riprovato a ripetersi a febbraio e a marzo, ma senza successo. Anzi, si è verificata una perdita di momentum, cioè di forza propulsiva del trend. La media mobile a 100 giorni è ancora al rialzo come inclinazione, ma è stata tagliata al ribasso dai prezzi con un vistoso gap il 22 marzo, un segnale graficamente non bello. La media mobile a 200 giorni, indicatore che con la sua posizione rispetto al grafico delle quotazioni fornisce un’idea della condizione della tendenza di lungo termine, transita invece in area 2.580 punti, quindi ancora al di sotto dei prezzi. Fino a che questo supporto tiene, si potrà continuare a sperare che le incertezze recenti, l’incapacità degli ultimi rimbalzi di toccare nuovi massimi, siano solo una fase intermedia di una pausa correttiva di lieve entità e non la preparazione di un movimento ribassista più esteso. Al di sotto di area 2.580 potrebbe invece iniziare un ampio ritracciamento del rialzo avviatosi con i minimi di inizio 2016. Anche ipotizzando un ritorno solo del 50% rispetto al movimento precedente, la canonica percentuale di correzione, il rischio che lo S&P500 possa tornare in area 2.350 sarebbe concreto. Prima di fasciarsi la testa, comunque, aspettiamo di vedere come si comporteranno i prezzi in caso di movimenti in area 2.580.
Guardiamo ora al Nasdaq, il listino dei titoli hi-tech. In settimana è scoppiato il caso Facebook…
La vicenda Facebook-Cambridge Analytica ha colpito solo il titolo della società di Zuckerberg, e in misura più ridotta anche Apple. Il titolo Facebook è finito sotto la soglia della media mobile a 200 giorni, passante a 173 dollari circa, segno che qualcosa, in negativo, è successo, ma è presto per parlare di inversione del trend. Solo la violazione anche dei 146-147 dollari, dove passa la linea che sale dai minimi di metà 2013, farebbe suonare una forte sirena d’allarme. Comunque, almeno nel breve periodo, non è un titolo su cui andare, a meno che i prezzi non ritornino al di sopra dei 185-186 dollari.
Il resto del Nasdaq e dei titoli tecnologici chiamati FAANG (Facebook, Apple, Amazon, Netflix e Alphabet-Google) come stanno?
I FAANG si sono un po’ indeboliti dai loro massimi, ma si muovono in linea con quanto accade sulla Borsa nel suo complesso. Il Nasdaq Composite, nel suo insieme, presenta un situazione grafica diversa rispetto all’S&P 500. A marzo è stato toccato un nuovo record a 7.337, superiore ai massimi di gennaio, poi l’indice è tornato in area 7.160, pur rimanendo ancora sopra la media mobile a 100 giorni, posta a 7.070. Quella a 200 giorni, più rappresentativa per valutare la condizione del trend di lungo termine, passa a 6.720 punti. Qualora questa media dovesse essere violata al ribasso, anche il Nasdaq prenderebbe la scia dello S&P 500, con rischio di una correzione ribassista lunga anche qualche mese. Diciamo comunque che sul Nasdaq non si è ancora accesa una spia rossa.
Trump ha deciso un altro ribaltone: come consigliere nazionale per la sicurezza al posto di McMaster arriverà John Bolton. Insomma, sempre più “falchi” nell’Amministrazione. Ne trarranno vantaggio i titoli di difesa e aerospaziale?
Difficile prevederlo. Se, da un lato, assisteremo a un aumento degli investimenti nella difesa, dall’altro potrebbero insorgere nuove tensioni geopolitiche, Iran e Corea del Nord su tutti, con rischi connessi per l’export americano. Attualmente il DJ Industrial, il paniere che contiene i maggiori 30 titoli industriali della Borsa Usa, come forza relativa rispetto allo S&P500, pur avendo dato segnali di flessione negli ultimi giorni, rimane meglio impostato.
Dopo le decisioni della Fed e guardando ai rendimenti del T-Bond, c’è chi ha ipotizzato un possibile travaso di investimenti dalla Borsa ai bond. Sarà così?
Prendiamo in considerazione il Treasury a 10 anni. I tassi Usa non sono saliti come ci si aspettava. I prezzi ora sono sui minimi del 2011, ma da un mese non scendono più, dopo essere passati dai massimi dello scorso settembre a 128 al minimo di inizio marzo a 120 circa. Difficile dire che la spinta rialzista si sia fermata, di certo per un po’ resteranno sotto il tetto del 3%, che piace ai mercati. Il destino dei tassi sui T-Bond decennali è in salita, ma è un problema di timing più che di direzione: probabilmente supererà il 3% nella seconda metà del 2018 e ciò renderà lo switch più probabile. Ma sarà un passaggio dolce, senza scossoni per le Borse.
E i titoli di Stato italiani?
Il BTp a 10 anni si è rivalutato nell’ultimo mese un po’ a sorpresa, con prezzi passati da 134 a 137,5 (ricordiamo che prezzi e rendimenti sono legati da una relazione inversa). Merito non tanto del nostro decennale, quanto del fatto che ha saputo accodarsi al calo dei rendimenti messo in evidenza anche sul Bund tedesco. Nella Ue le pressioni sui tassi sono leggere per il momento, visto che l’inflazione resta molto dimessa, e le obbligazioni hanno meno appeal delle azioni.
Alla luce di questo scenario, che cosa potrebbe succedere a Piazza Affari?
Su Piazza Affari, anche se per il momento lo fanno in modo molto discreto, potrebbero andare a pesare molto anche le incertezze politiche. Finora i mercati hanno mostrato una certa pazienza, ma cosa succederà se i prossimi passaggi istituzionali non troveranno una soluzione stabile? Sono scenari al momento non ipotizzabili, ricordando però sempre che ai mercati non piace l’incertezza. Da non sottovalutare il monito di Scott Thiel, vice responsabile per gli investimenti di Blackrock, secondo il quale dalle urne il 4 marzo è uscito il peggior esito possibile, tanto che il gigante della gestione del risparmio assumerà una posizione “underweight”, in altre parole pessimista, sui titoli di Stato italiani.
Se invece guardiamo al quadro grafico, che segnali arrivano dal Ftse Mib?
Febbraio e marzo non sono stati due mesi facili, abbiamo assistito a una lateralità, con movimenti in entrambe le direzioni, che sono difficili da interpretare. L’unica cosa certa è l’ultimo ribasso disegnatosi tra fine gennaio e inizio febbraio, che non è stato smentito dai successivi, flebili, rimbalzi. I prezzi proprio nelle ultime sedute si sono messi a giocare con il fuoco, ovvero con la trend line che sale dai minimi di novembre 2016 e con la media mobile a 200 giorni, in transito in area 22.200. Se questo duplice sostegno dovesse venire abbandonato, con i prezzi che si stabilizzano al di sotto dei 22.000 punti, si potrebbe delineare all’orizzonte uno scenario di cali anche estesi, con obiettivi tra i 18.500 e i 19.500 punti. Per poter iniziare a tirare un sospiro di sollievo sarà necessario il superamento almeno di area 23.000.
Consigli per i risparmiatori?
Stare alla finestra, magari limitandosi a un po’ di stock picking settoriale, su titoli difensivi, come per esempio quelli del lusso e dell’energia. Adesso di Borsa è meglio averne poca in portafoglio, anche perché in Europa di alternative al Ftse Mib non se ne vedono: nell’ultimo mese il Dax tedesco, il Cac francese e l’Ibex spagnolo hanno tutti performato peggio di Piazza Affari.
(Marco Biscella)