Occupazione, la parola d’ordine dei politici, ieri, oggi e domani; tutti occupati a mettere in campo ipotesi alla bisogna. Quelle keynesiane, senza il becco d’un quattrino, risultano inattingibili. Quali altre allora? Rimettere in moto la produzione che genera lavoro, indi occupazione, magari fornendo incentivi. Ma non si era senza un cent e con i conti pubblici in fibrillazione? Poi quale produttore, seppur incentivato, vorrà investire per produrre se non ha certezza di incontrare la domanda? Mica scemo, lui sa che per far produrre ha erogato redditi insufficienti a smaltire il prodotto.



Signori, per queste vie non si cava un ragno dal buco. Nell’Economia dei consumi, partire dall’occupazione per avere reddito che acquista e genera crescita: pia illusione. Basta ciance: si parte dal reddito e, vedrete, l’occupazione verrà. Ricominciamo daccapo: quel reddito potrà generare consumo, di seguito crescita, poi nuova produzione, indi lavoro, poscia occupazione.



Si dirà: dare reddito “a gratis” per innescare il processo virtuoso, risulta diseconomico, ancor più immorale. Eh no cari miei, la sostanza economica di quel reddito compensa quel lavoro di acquisto e consumazione che, svolto ben oltre il bisogno, potrà sostenere proprio l’economia e vivaddio fornire un assegno morale agli atti di consumo.

Dove stanno le risorse per retribuire? Là dove sono: nelle rendite, nelle filiere produttive troppo lunghe che disperdono profitto, negli utili inutilizzati pure tra quelli della bassa propensione al consumo che mettono i soldi al pizzo. Tocca redistribuire i carichi, i compensi e i vantaggi per raddrizzare la barca e tornare a navigare sulle rotte della crescita.