Un’atmosfera di attesa carica di ansia sembra attraversare la politica, non solo quella italiana, ma quella europea e internazionale. L’Italia, è ovvio, attende un governo; l’Unione europea attende che maturino i tempi per compiere delle scelte di riforma che tutti dichiarano inevitabili, ma che alla resa dei conti nessuno sembra disposto ad accettare; le grandi potenze che ormai si dividono questo mondo tripolare, Stati Uniti, Cina e Russia, attendono l’una la risposta dell’altra: ai dazi di Donald Trump, al trionfo di Vladimir Putin, all’impero a vita di Xi Jinping.



In Italia la nuova legislatura parte segnata da un accordo tra il Movimento 5 Stelle e un centrodestra a trazione leghista con Matteo Salvini che ha avuto l’ardire di sfidare Silvio Berlusconi sul suo stesso terreno. Se il voto per la presidenza del Senato (andata alla berlusconiana Elisabetta Alberti Casellati) e della Camera (ad Alberto Fico considerato l’ala sinistra dei pentastellati) avesse un significato politico più ampio, si dovrebbe ripercuotere sul governo in termini di alleanza tra i due vincitori delle elezioni, magari con un compromesso attorno a un capo del governo condiviso (dunque né Di Maio, né Salvini) e a una spartizione delle poltrone ministeriali. Non sarà facile, né, allo stato attuale, si intravede la figura idonea a incarnare un patto che in teoria smentisce le solenni promesse politiche fatte agli elettori (gli uni hanno giurato mai con i cinquestelle, gli atri mai con Berlusconi).



Salvini ha detto, incassando un indubbio successo tattico, che adesso dovrà nascere un governo che dia agli italiani meno tasse e più pensioni. Fico vuole tagli ai costi della politica e reddito di cittadinanza, insomma i cavalli di battaglia grillini. Secondo i calcoli di Tito Boeri, il reddito di cittadinanza dovrebbe costare 30 miliardi di euro, mentre “stracciare” la riforma Fornero, come ha platealmente detto Salvini in campagna elettorale, costerebbe almeno 90 miliardi. Intanto, il conto della spesa parte già da 30 miliardi che bisogna trovare quest’anno: 12,4 per impedire che scatti l’aumento dell’Iva previsto dalla clausola di salvaguardia, 12 per rispettare gli impegni presi con ‘Ue facendo scendere il deficit pubblico allo 0,9%, il resto per i contratti del pubblico impiego e le spese incomprimibili. A qualcosa bisognerà rinunciare.



Wait and see, aspettiamo a vedere quali altri solenni impegni verranno rinviati se non persino violati. Non sappiamo, del resto, quanto tempo ci vorrà per formare un nuovo governo e se l’accordo per la guida delle due camere terrà davvero. L’attesa, dunque, si fa ansiosa anche in questa Italia che per altri versi ha scelto in quale direzione andare, punendo i due partiti che l’hanno guidata quasi per un quarto di secolo con una alternanza che avrebbe dovuto mandare in sollucchero i seguaci del bipartitismo perfetto.

Come reagirà l’Unione europea a un governo che, in ogni caso, pur ridimensionando una parte degli impegni elettorali, nasce con l’intento di aumentare la spesa pubblica e redistribuirla, sia pure in modo diverso? Secondo le stime degli economisti, la flat tax dovrebbe avvantaggiare per due terzi il nord, il reddito di cittadinanza il sud ed entrambi pesare sul disavanzo dello Stato.

Il Consiglio europeo di primavera si è concluso con un nulla di fatto. Tutto rinviato a maggio o in autunno. A cominciare dal completamento della riforma bancaria sulla quale grava il veto dei paesi del nord al fondo di garanzia dei depositi. Il loro messaggio è chiaro: non vogliamo condividere i rischi che provengono dai paesi più esposti. E tra questi c’è l’Italia dove le banche sono ancora gravate da crediti deteriorati in quantità e percentuale superiore a ogni altro membro della zona euro, esclusa la Grecia. Con questo clima, appare chiaro che l’Ue, seppur disposta ad attendere il nuovo governo italiano prima di esprimere qualsiasi giudizio sulla politica fiscale, non è pronta ad accettare un ulteriore aumento del deficit pubblico. Dire che si parte in salita, dunque, è un eufemismo.

L’Unione europea, del resto, si presenta particolarmente debole all’interno del nuovo scenario tripolare, nel quale non gioca nessun ruolo da protagonista. Graziata, per il momento, dai dazi di Trump sull’acciaio e l’alluminio, è costretta a piatire di essere risparmiata, minacciando rappresaglie (sui mirtilli rossi, sul bourbon, sulle Harley Davidson) che sembrano poco più di punture di spillo. L’Ue ha fatto la voce grossa contro Putin “l’avvelenatore”, ma è divisa su un ulteriore inasprimento delle sanzioni (l’Italia per esempio è contraria). Intanto, ha dovuto accettare lo status quo sull’Ucraina e l’annessione della Crimea dove il nuovo zar ha ottenuto un risultato bulgaro (oggi si direbbe nordcoreano).

In questa situazione, l’Italia (debole sul fronte economico dove non può ottenere molto) potrebbe giocare alcune carte diplomatiche, a cominciare dalla sua posizione di raccordo tra Mosca e Bruxelles rafforzata dalla vittoria della Lega filorussa (e filo Trump) o dallo stesso M5S che ambisce a trovare uno spazio meno atlantista ed europeista. Ma un valzer diplomatico del genere, giocando sulle contradizioni degli alleati, richiede un Cavour a palazzo Chigi e un Costantino Nigra alla Farnesina. Intanto, non ci resta che attendere.