La campagna d’Italia di Vincent Bolloré si complica ogni giorno di più. E i commentatori frettolosi, che hanno visto nella (relativa) sconfitta elettorale di Silvio Berlusconi un punto a favore del raider francese padrone di Canal Plus e di Vivendi, e tramite esse, di una quota di maggioranza relativa in Tim e di un inutile 28% in Mediaset, dovranno ricredersi. Già, perché mentre – forse – Bolloré gongolava per la supposta debolezza di Berlusconi, privo secondo lui della “sponda” governativa che gli avrebbe garantito finora Matteo Renzi, la guerra gli scoppia in casa. Il fondo d’investimento, cosiddetto “attivista” (cioè che si dà da fare nelle assemblee sociali delle imprese di cui possiede quote) Elliott ha rastrellato in Borsa, a basso prezzo, il 6% di Tim e pur se con una quota molto bassa minaccia alla prossima assemblea di scalzare Bolloré dalla sua debole attuale posizione di controllo. 



Possibile? Possibilissimo! Basti riandare con la memoria all’assemblea dello scorso anno, quando appunto Bolloré impose la sua legge: come prevalse, il bretone? Di strettissima misura, di pochi decimali di punto in più rispetto alla lista di consiglieri indipendenti che venne presentata dai fondi d’investimento presenti nel capitale di Tim. 



E dunque? Dunque quest’anno il film si ripeterà: alla prossima assemblea il fronte dei fondi voterà contro Bolloré stringendosi attorno al piano industriale delineato da Elliot, d’accordo con gli altri fondi, che s’impernia sulla vendita delle attività brasiliane e su un riassetto organizzativo che – si badi bene – non metterebbe in gioco la proprietà della rete d’accesso, quella che Amos Genish, l’amministratore delegato scelto (ma non amato!) da Bolloré sta societarizzando in forma autonoma pur volendone mantenere il controllo.

Dunque, è stata una pura manovra di mercato, questa di Elliott. Compro, boicotto, vendo, rivendo e guadagno. Speculativa finché si vuole – a farla è un fondo che di mestiere specula – ma eloquente. Una mossa che dice che Tim non vale così poco. Che gestita bene e con chiarezza strategica può valere di più. Insomma, un manrovescio violentissimo sulla faccia di Bolloré, che non può nel frattempo distrarsi troppo dagli altri fronti che gli restano aperti, cioè le gravi ripercussioni giudiziarie del sospetto aggiottaggio mediante il quale ha scalato Mediaset a buon prezzo e i procedimenti antitrust per la vietata commistione tra reti telefoniche e televisioni che ha costruito entrando contemporaneamente sa in Telecom che in Mediaset.



Elliot è un fondo che fa capo al finanziere Paul Singer e conta circa 34 miliardi di dollari di masse gestite, e di solito non scherza. Capeggiando il nutrito fronte dei fondi azionisti di Telecom, alla prossima assemblea sociale del 24 aprile, potrebbe anche disarcionare Bolloré dal controllo del consiglio d’amministrazione dell’azienda. Sicuramente riproponendosi di gestirla meglio per farla crescere di valore e prima o poi venderla, guadagnandoci molto rispetto ai 900 milioni che ha finora speso per scalarla. 

Come? Si diceva prima: vendendo il secondo operatore mobile brasiliano, Tim Participacoes, all’ex operatore pubblico Oi. E poi? Poi gestendo meglio, magari con un po’ di macelleria sociale (quale governo la contrasterebbe?) e comunque promettendo un miglioramento gestionale che non sembra affatto impossibile (lo stesso Genish, bravissimo manager, è stato già contrastato in azienda da Bolloré perché troppo indipendente) che faccia leva sui mal di pancia che la gestione Vivendi ha suscitato presso gli investitori istituzionali. Non a caso, le azioni dell’ex monopolista pubblico Sip, ora a gestione Vivendi, hanno perso un terzo del proprio in due anni, e oggi tutta l’azienda vale 15 miliardi.

Giusto per la cronaca, ecco due gossip. Alcuni dicono che dietro Elliott ci sia l’ombra di Marco Patuano, ex amministratore delegato Telecom licenziato da Vivendi, perché stranamente il piano di Elliot non prevede la vendita della rete, ipotesi contro la quale Patuano si era schierato ferocemente. C’è invece chi ipotizza che Elliott sia la longa manus di Mediaset, anche perché l’anno scorso Singer finanziò con ben 180 milioni di dollari la holding cinese Rossoneri Sport di Yonghong Li per sbloccare la vendita del Milan (per ben 740 milioni di euro!) del Milan. E successivamente, Elliott ha sottoscritto un bond emesso dallo stesso Milan per 128 milioni: insomma, di Berlusconi Elliott non sembra certo un nemico.