Se il consumatore, con la sua azione di acquisto, dà corso a processi di trasformazione del valore merce in ricchezza, non pago poi consuma l’acquistato dando corso a processi di ri-produzione e continuità al ciclo, questo consumare diviene esercizio di pratica economica occupando vivaddio il centro della scena produttiva. Questo esercizio non pagato invece paga con il debito, poi ancora debito su debito fino al collasso economico che svaluta valore, brucia ricchezza.
Perché questo ruolo, queste ragioni, questo impegno pure questi squilibri non trovano rappresentazione politica? Oh bella perché, potentemente mistificato da un luogo comune, quel consumare viene ritenuto dai più esercizio di bisogno a cui provvidi e compassionevoli produttori forniscono ristoro guadagnando così un posto al sole e lauti profitti. Signori politici, non ci siamo, per sostenere la domanda occorre andare ben oltre il consumo di bisogno, occorre poter disporre del nostro tempo, dell’attenzione; disporre di una ragionevole fiducia, del denaro per acquistare l’eccesso di offerta. Le prime due, categorie del fare; la terza una categoria dello spirito; la quarta dell’agire. Se corroborate, tonificate possono rigenerare la crescita economica, la ricchezza altrimenti recessione, povertà. Questa la nostra forza, questa la debolezza dei produttori; il nostro destino, il destino del mondo.
Signori politici che siete lì a lambiccarvi sulla crisi, sul cosa fare, come farlo e soprattutto con chi, noi un’idea l’avremmo: è tempo di cambiare le carte in tavola: acquistino i produttori. Acquistino la nostra fiducia, con i denari acquisteremo le loro merci. Sborsino un ragionevole interesse per l’uso del nostro scarso denaro per acquistare il loro eccesso di merci. La nostra attenzione ci consente di prestare attenzione alle vostre merci, la si acquisti.
I consumatori senza denaro da spendere hanno tempo da vendere. Chi vuole quel tempo, non aspetti tempo, lo acquisti. Cos’altro dire: buon pro ci faccia. A tutti.