Qualsiasi cosa stia succedendo o stia per succedere in Siria finora non ha turbato i “mercati”. Nemmeno i beni rifugio classici hanno finora dato particolari segnali di nervosismo. L’unica “guerra” che ha fatto parlare di sé sui mercati finora è quella commerciale tra Stati Uniti e Cina a cui sono stati dedicati centinaia di articoli e trasmissioni televisive; la notizia di mercato di ieri era il discorso del Presidente cinese che dichiarava che “la Cina non cerca un surplus commerciale” e che “ha un desiderio genuino di incrementare le importazioni”. Secondo i principali commentatori di mercato, le dichiarazioni, incluse quelle sulla diminuzione dei dazi all’importazione di auto e l’apertura del mercato finanziario, erano la causa del rimbalzo dei mercati.
Sembrerebbe che la Cina voglia sedersi al tavolo delle trattative. Se si assume che gli interlocutori siano razionali, Cina e Stati Uniti, al di là delle dichiarazioni sguaiate si delinea uno scenario di un riequilibrio graduale che premierà qualche settore a discapito di altri, ma senza causare terremoti.
L’unica area del globo rimasta a cercare un surplus commerciale come chiave della propria economia è l’Europa. La questione a questo riguardo ormai è chiarissima. L’austerity serve per continuare a consentire un surplus commerciale a certe nazioni europee senza redistribuzione e senza costi. Se ci sono redistribuzione e investimenti c’è un’inflazione buona e una rivalutazione del cambio, ma a quel punto si rompe il gioco che ha consentito agli stati forti di colonizzare, letteralmente, quelli deboli. Prima o poi qualcuno tornerà a bussare all’Europa chiedendo un riequilibrio, ma probabilmente oggi ci sono altre priorità e l’alleato americano non può fare la guerra commerciale agli stessi stati a cui sta chiedendo una mano in Medio Oriente.
Oggi però rileviamo l’indifferenza del mercato rispetto agli ultimi sviluppi in Siria. Il mercato evidentemente crede che la situazione non precipiti e che se anche precipiti la guerra rimanga confinata in una regione remota dove, dopo tutto, si fa la guerra da quasi trenta anni. Un po’ di tensione potrebbe persino essere funzionale a un’uscita prudente e graduale dalle politiche di espansione monetaria che sicuramente hanno fatto benissimo ai mercati. I mercati come sempre possono avere ragione o sbagliare; negli ultimi anni non si sono dimostrati buoni “predittori” di eventi politici, dall’elezione di Trump passando al referendum sulla Brexit. La visione dei mercati è distorta da dieci anni di politiche monetarie ultra-espansive; queste da un lato hanno offerto reti di salvataggio e dato una sensazione di sicurezza di fronte a eventi che in altre fasi avrebbero avuto ripercussioni maggiori; dall’altro hanno creato una bolla in cui chi è dentro fa fatica a capire quello che succede fuori.
Il mercato non legge il malcontento che sfocia nella Brexit o nell’elezione di Trump perché vive in un mondo a parte fatto anche di statistiche e notizie che non rendono l’idea di quello che succede alla gente “normale”. Aggiungiamo che negli ultimi dieci anni non ha pagato preoccuparsi di fasi critiche: chi si è preoccupato non ha fatto i soldi e chi si è affidato ai media tradizionali, alle statistiche di sempre e alle banche centrali ne ha fatti tanti.
La bolla in cui sono i “mercati” impedisce come si è visto spesso negli ultimi anni una lettura della realtà corretta. E comunque anche se si sbaglia pazienza, perché il mercato sale comunque. Per questo non si trovano conferme sui mercati dell’aumento delle tensioni in Siria. Il mondo delle politiche ultra-espansive è abituato a escludere a priori eventi traumatici salvo poi svegliarsi bruscamente. I rischi ci sono, ma il mercato non li vede e non li vuole nemmeno vedere. Delle tensioni in Siria sul mercato non c’è traccia, ma c’è traccia della guerra commerciale. La seconda è una minaccia molto più reale e immediata allo scenario finanziario degli ultimi anni. Quello delle politiche ultra-espansive e dei profitti aziendali che crescono. Ogni rischio è “relativo” all’interno dello scenario finanziario degli ultimi anni purché quello scenario duri.