Ieri è cominciato il secondo giro di consultazioni al Quirinale per cercare di arrivare alla formazione di una maggioranza di Governo. Nel frattempo lo scenario internazionale sta evolvendo facendo crescere il rischio di conflitti, sia militari che commerciali, che potrebbero avere conseguenze anche economiche. In questa situazione, quanto l’Italia potrà restare ancora priva di un nuovo esecutivo nel pieno dei suoi poteri? Lo abbiamo chiesto a Marco Fortis, vicepresidente della Fondazione Edison. «In questo momento – ci ha spiegato – c’è un abbrivio positivo dell’economia italiana piuttosto evidente, al di là delle oscillazioni mensili di alcuni indicatori mensili. Per esempio, nell’occupazione continuiamo a vedere una crescita dei contratti a tempo indeterminato, che permette una buona dinamica dei consumi (nel 2017 abbiamo avuto la crescita pro-capite più alta tra i dieci paesi più ricchi dell’Ue), nonostante una decrescita della popolazione. Questo abbrivio può tranquillamente durare per tutto il 2018, a prescindere dagli scenari internazionali, dalle possibili guerre commerciali».
Dunque possiamo aspettare senza temere ripercussioni?
C’è sicuramente un rallentamento europeo, evidenziato anche dagli indici di Markit di marzo. L’export non cresce più come l’anno scorso, anche per via della rivalutazione dell’euro. Però l’Italia ha rispetto all’Europa delle componenti positive (effetto strascico di Industria 4.0, aumento tendenziale di occupazione e consumi), che le permettono di andare avanti per il 2018 senza scossoni particolari. È chiaro però che qualunque economia, non solo quella italiana, non può “fare benzina” nel 2015-16 e poi non riempire più il serbatoio. Tra fine 2018 e inizio 2019 bisogna mettere altro carburante, altrimenti l’economia rischia di fermarsi. Le politiche economiche hanno bisogno di continuità e ora si tratta di capire chi sarà in grado di assicurarla.
Sembra difficile parlare di continuità, considerato che il Pd ha scelto la strada dell’opposizione e le altre forze politiche sembrano avere programmi diversi da quelli degli ultimi esecutivi…
In effetti si dice che ci sarà una garanzia di continuità con l’Europa, che sarà anche assicurata dal Presidente Mattarella. Tuttavia bisognerà vedere cosa significa tradotto in pratica dai partiti che hanno vinto le elezioni. Anche perché probabilmente la vittoria è stata dovuta a una serie di promesse non semplici da realizzare. Tenendo conto che non ci sarà più il Qe che ha assicurato una specie di congelamento di parte del debito, mi chiedo come si farà a garantire delle ricette di politica economica che vadano oltre quel sentiero stretto che Padoan aveva in qualche modo faticosamente delineato.
Ottenendo dall’Ue la flessibilità…
Sì, servita a finanziare degli interventi che, seppur limitati, ci hanno permesso di portare il Pil pro capite a una crescita di tipo tedesco, negli ultimi due anni, e di avere il più alto aumento dei consumi privati pro capite tra i dieci paesi più ricchi dell’Ue nel 2017. Questo grazie a una crescita del reddito disponibile. Il problema è che ora oscilliamo in una sorta di illusione ottica.
Cosa intende dire?
Da una parte abbiamo chi, come Cottarelli, ci dice che bisogna fare un avanzo primario del 5% del Pil per mettere a posto i conti pubblici, cosa che nemmeno Monti ha fatto, fermandosi al 3%, con tutte le conseguenze che abbiamo visto. Se il Pil non cresce, il rapporto debito/Pil aumenterà. Negli ultimi anni si è stabilizzato grazie alla crescita, l’unica possibile. Perché all’altro estremo ci sono coloro che sostengono che occorra una crescita del 3%, un dato che nemmeno la Germania raggiunge più. Oscilliamo tra queste Scilla e Cariddi. Se ci aggiungiamo chi vuole fare la flat tax e chi vuole dare il reddito di cittadinanza, è chiaro che si crea confusione. Impossibile capire quale potrà essere la politica economica futura dell’Italia. Più di una certa crescita non si può fare, a meno di non scassare i conti pubblici e diventare più che commissariati, come la Grecia.
Questo clima di incertezza può influire sulle scelte di investimento delle imprese e quindi anche sull’occupazione?
Le imprese sopravvissute alla crisi hanno in gran parte puntato su Industria 4.0: le fabbriche sono di fatto cambiate e possono ben competere sui mercati mondiali. È chiaro che potrebbe esserci paura nel caso dovesse ripartire lo spread o tornare la crisi finanziaria. Siamo come una macchina con un motore che tira molto, le imprese, ma con una zavorra nel baule, il debito pubblico. Non possiamo far fondere il motore per tirare un carico così pesante. Continuando con questo paragone automobilistico, dobbiamo stare attenti a non finire il carburante, a chi farà il pieno a fine anno, sperando che non metta gasolio al posto della benzina, e a non appesantire la zavorra nel baule.
Lei cosa auspica?
Secondo me si può continuare a uscire dalla crisi solo continuando a usare la quantità di benzina degli ultimi anni, che la Commissione europea ci consente di usare senza scassare i conti pubblici. Alla fine del 2018 dovremo avere qualche chance di non far perdere fiducia agli imprenditori dimostrandogli che il Paese conserva un minimo di serietà. Siamo tutti affidati alla saggezza del Presidente della Repubblica.
(Lorenzo Torrisi)