Mps, Npl, Ds, M5S, Pep: quello che ancora poco tempo fa veniva qualificato come “il groviglio armonioso” di Siena, all’assemblea di ieri – la prima dopo la ri-statalizzazione-salvataggio – è risuonato come una cacofonia di acronimi. Peraltro non del tutto privi di un filo: se non logico, almeno storico-politico. Fin dalla vigilia della convention annuale, sulla stampa era filtrato un rivolo gustoso dal dissesto del Montepaschi. Nella montagna di Npl marciti a Rocca Salimbeni (26 miliardi già espulsi, 11 miliardi stimati ancora da macerare) una goccia di 233mila euro è stata oggetto di un recente pignoramento: Mps versus la Fondazione La Quercia di Mantova, storico braccio immobiliare dei Ds locali. Oggetto dell’azione di garanzia: un vasto terreno acquisito ancora negli anni ’90 da quello che all’epoca era ancora un partito, anzi: l’unico partito sopravvissuto alla Prima Repubblica. Su quei 33mila metri quadri a Suzzara si sono svolte infatti molte Feste provinciali dell’Unità: che non sono però bastate a ripagare fino in fondo l’ultimo mutuo acceso sull’area.
Marco Morelli, oggi Ceo di Mps, ieri non si è affatto preoccupato di gettare un po’ di altra benzina sul fuoco: precisando a un socio che la banca è creditrice di 10 milioni verso 13 partiti politici non meglio identificati e che si tratta di linee per gran parte già in sofferenza. Di più: il Monte risulta tuttora prestatore di 67 milioni verso “Persone esposte politicamente”, cioè persone fisiche “che occupano o che hanno occupato importanti cariche pubbliche, i loro familiari diretti o coloro con i quali tali persone intrattengono notoriamente stretti legami”. Però la Mantova-connection, per gli intenditori, è rimasta la portata più ricca di peperoncino.
È stato vent’anni fa a Mantova che Mps realizzò l’acquisizione della locale Banca Agricola: beneficiando tutti i soci della grande Popolare locale di prezzi stratosferici per cassa, legati alla volontà del Monte di crescere ma diluire con una fusione la presa della Fondazione sulla banca a Siena. La vicenda del “campo delle feste” a Suzzara conferma inequivocabilmente come da quella festa non rimase escluso davvero. Ma la festa – come oggi qualcuno forse non ricorda più bene – continuò senza interruzione: quando l’imprenditore mantovano Roberto Colaninno e la “razza padana” – in un raggio di cento chilometri dalla città – fu protagonista della memorabile scalata a Telecom. Quella dei “capitani coraggiosi” pubblicamente incitati da Massimo D’Alema: primo e unico premier Ds dell’Italia repubblicana. Il grosso chip della “madre di tutte le Opa” lo mise il Monte, sintesi di ogni commistione anomala fra finanza e politica.
Molti anni dopo, il 4 marzo scorso, a Siena è stato eletto per il Pd Pier Carlo Padoan, ministro dell’Economia uscente di un governo di centrosinistra ed ex direttore scientifico della Fondazione Italianieuropei di Massimo D’Alema. Padoan è formalmente il padrone odierno del Monte (il Tesoro detiene il 68% della banca), ma non si è naturalmente fatto vedere in assemblea. Qui invece ha dato spettacolo Carlo Sibilia, un piccolo azionista molto particolare: è stato appena rieletto deputato nelle liste M5S, dopo aver partecipato, sul finire della scorsa legislatura, alla contrastata Commissione parlamentare d’inchiesta sulla crisi bancaria italiana. “Chiedo ai delegati del Tesoro perché non hanno ancora votato un’azione di responsabilità verso i vecchi vertici”, ha tuonato Sibilia, in un intervento certamente discutibile ma non illecito nella prassi societaria. Dopo 546 anni l’eterna nemesi del Monte promette nuovi capitoli.