Nell’economia della produzione viene ritenuto possibile distinguere tra salari nominali e reali. Giust’appunto, i primi sono la quantità di moneta che il lavoratore riceve in un’unità di tempo. I secondi, la quantità di beni e servizi che quel lavoratore può acquistare sul mercato con quel salario nominale percepito. Tutto bene quando il denaro guadagnato con il lavoro risulta pari al potere d’acquisto necessario per fare tutta la spesa necessaria a smaltire quanto quello stesso lavoro ha prodotto per poter ri-produrre. Già, a meno che l’inflazione, quando si mostra, attenti quell’equilibrio.
A meno che, magari al grido di “Pazienza, costanza e prudenza” [1] venga provocata dalle politiche di reflazione, messe in campo ad arte, con l’intento di alterare il meccanismo di formazione dei prezzi, strapazzando il potere d’acquisto. A meno che… poi con il credito si dia soccorso a quell’acquisto: nel dicembre 2017, negli Usa, il credito al consumo risulta aumentato a un tasso annualizzato del 5,8%; 18,45 miliardi di dollari sul mese precedente. Il debito associato alle carte di credito è salito a dicembre a un passo annualizzato del 6%. I debiti legati a prestiti studenteschi o per l’acquisto di un’auto, il cosiddetto credito non-revolving, sono aumentati al tasso annualizzato del 5,7%. Bella no?
Beh, per porre riparo all’insufficienza del salario reale, nell’economia dei consumi, deve trovare riferimento un accrocco nuovo di zecca: condizione necessaria e sufficiente a che il meccanismo economico giri al meglio, per generare ricchezza, le imprese devono attrezzare business che consentano di fare profitto se e quando, con l’acquisto delle loro merci, viene rifocillato il potere d’acquisto. Ci sono grandi aziende [2] che già lo fanno; sì, così come gli utili. Già, buono per ridurre pure il margine di capacità inutilizzata nell’economia e non dover pure ridurre i salari nominali di chi vi lavora.
A presidio e misura del salario reale, l’impresa deve farsi carico di parti del Costo dell’acquisto per unità di prodotto (Caup). Quasi come il caro vecchio Costo del lavoro per unità di prodotto (Clup) che ancora misura il salario nominale. Se con il secondo si calibra la produttività della singola azienda, con il primo quella dell’intero sistema economico.
[1] Pazienza, costanza e prudenza nella conduzione della politica monetaria al fine di assicurare il ritorno dell’inflazione verso l’obiettivo prefissato. Così Mario Draghi afferma nell’editoriale pubblicato nel rapporto sull’attività della Bce nel 2017.
[2] Ikea, le Free Press, Groupon, gli Outlet, AirBnb, Uber.