Il Fondo monetario internazionale ieri ha pubblicato la revisione delle previsioni economiche. Negli articoli di commento che si leggevano in serata venivano evidenziate tre questioni: l’Italia è il Paese europeo che avrà il più basso tasso di crescita nel 2018 superata anche dalla Grecia; l’incertezza politica rischia di minare il percorso di riforme; l’alto debito pubblico unito ai trend demografici dovrebbe consigliare un miglioramento del surplus primario.
Riguardo al primo punto non ci sono particolari novità perché in questa speciale classifica l’Italia occupa gli ultimissimi posti in Europa da diversi anni. Siamo convinti che sul lato delle riforme ci possa essere ancora molto da fare, ma non possiamo far finta di non sapere che l’Italia ha privatizzato il possibile e l’impossibile, che ha abolito il contratto a tempo indeterminato sostituendolo con un buon determinato e che viaggia da molti anni con un surplus primario tra i più alti d’Europa e sicuramente il più alto tra le maggiori economie europee. L’amministrazione pubblica italiana ha passato praticamente indenne le crisi degli ultimi vent’anni e la lista di “sprechi” e abbastanza lunga, ma l’Italia compete con Paesi che hanno ancora le 35 ore, che non hanno mai privatizzato niente e che sul privato non hanno fatto neanche la metà della metà di quello che ha fatto l’Italia.
Ci deve essere una spiegazione che ci sfugge. A pagina 242 del lunghissimo report del Fondo monetario internazionale dove si evidenziano le componenti del Pil si vede benissimo la principale differenza tra noi e gli altri Paesi europei: in Italia la spesa pubblica, che è fatta sia di stipendi ma anche di metropolitane, strade e investimenti, è calata ininterrottamente dal 2011 al 2015. L’Italia è l’unico dei principali Paesi europei che dal 2010 al 2019, quando nel mondo si sono fatte politiche anticicliche, ha avuto una spesa pubblica in calo. Onestamente ci domandiamo come si possa competere con gli altri Paesi con una mano legata dietro la schiena. Le differenze tra noi e gli altri Paesi europei sono anche queste.
A proposito dell’incertezza politica vorremmo sottolineare che la vittoria dei “populisti” coincide con le aree di maggiore disoccupazione. La soluzione “sotto vuoto” è abbastanza semplice: bisognerebbe aumentare l’efficienza della macchina pubblica che tradotto in soldoni significa licenziare o pagare molto meno i dipendenti pubblici delle amministrazioni inefficienti. È quello che è successo in Grecia negli ultimi anni. “Sotto vuoto” è tutto molto semplice, ma dopo due crisi dell’economia, una globale e una “accaduta” solo in Italia nel 2011, le cose sono più complicate perché quelli che dovrebbero essere tagliati, a differenza che nelle multinazionali, votano e perché senza alternative in aree fortemente depresse dove il privato non esiste non si capisce bene dove si possa andare a parare.
È in atto un circolo vizioso che deve essere spezzato; le ricette che funzionano sui fogli excel nella vita reale funzionano meno. Per spezzare il circolo vizioso italiano serve ritornare a investimenti pubblici “buoni” in linea con il resto d’Europa; questa è l’unica condizione per riavvicinarci alla crescita di Germania, Francia e Spagna. Se l’Europa è in buona fede, l’unica possibilità e ottenere più flessibilità sulla spesa pubblica magari mostrando ogni buona volontà sul lato dell’efficienza. Il debito pubblico italiano si cura davvero solo con la crescita; e alla crescita italiana manca all’appello la buona spesa pubblica. Basta solo scorrere le statistiche degli ultimi dieci anni sugli investimenti in costruzioni in Italia e in Europa.
Per quanto riguarda i consigli sull’avanzo primario notiamo che nella riga immediatamente successiva (siamo a pagina 25 del documento originale) – che nessuno si è preso la briga di leggere – quei pericolosi antieuropeisti e populisti del Fondo monetario internazionale tirano una “bordata” contro la Germania, che “ha spazio fiscale che dovrebbe essere usato per incrementare gli investimenti pubblici”. “Un’importante conseguenza di maggiori investimenti pubblici in Germania sarebbe un incremento delle importazioni dal resto dell’Europa che faciliterebbe un ribilanciamento delle domanda all’interno dell’area euro”.
In mezzo paragrafo il Fondo monetario internazionale scrive non solo cosa non va nell’Europa oggi, ma anche perché l’Europa sta “fallendo”. Il surplus fiscale tedesco, frutto direttamente delle politiche della Bce che piovono su buoni e cattivi e indirettamente di esportazioni ai massimi grazie a un cambio europeo che non si rivaluta, rimane in Germania e da quei confini non esce. E come conseguenza di questo non avviene un ribilanciamento della domanda all’interno dell’euro: tradotto significa che le differenze tra Paesi membri si allargano invece di diminuire. Tutti devono fare i compiti in Europa, inclusi noi italiani per quello che ci compete. Sinceramente pensiamo che un motore che non gira da molto tempo, come in certe regioni italiane, serva innanzitutto e indipendentemente da qualsiasi discorso sull’efficienza uno shock “esterno” fatto anche di investimenti pubblici. Pensiamo anche che nell’attuale contesto europeo, con un blocco alla domanda pubblica senza criterio, l’Italia sia condannata comunque a fare peggio degli altri.
Questo non ci assolve dalle nostre colpe, ma le mette nel contesto giusto.