«Nei prossimi due anni, possiamo permetterci di restare sedati. Probabilmente lo scenario economico resterà favorevole e i tassi di interesse saranno bassi. Ma poi? È probabile che l’economia mondiale si stia avvicinando ora al picco della crescita. L’aumento dei tassi di interesse negli Stati Uniti e la fine di acquisti di titoli di stato in Europa, il rischio di una guerra commerciale, o altri choc oggi imprevedibili, potrebbero mandare gli Stati Uniti in recessione nel 2020 o nel 2021. In questo scenario negativo, le conseguenze non tarderebbero a farsi sentire anche nell’Eurozona». Chi ha scritto tutto questo, a vostro modo di vedere? Chi azzarda addirittura l’approssimarsi del picco della crescita e l’ipotesi recessiva per gli Usa da qui a due, tre anni? Guido Tabellini. Anzi, il professor Guido Tabellini, professore di economia ed ex rettore dell’Università Bocconi di Milano, il quale da ieri ha cominciato la propria collaborazione con Il Foglio attraverso un articolo che contiene appunto questo estratto. 



Ora, diciamo che dal quotidiano fondato da Giuliano Ferrara e dalle sue posizioni politiche e geopolitiche mi divide l’oceano. Anzi, mettete due oceani in fila, rende meglio l’idea. In economia, essendo formalmente dei liberali, dovrebbero vedere come fumo negli occhi il montante rigurgito keynesiano reso possibile dall’attivismo post-2008 delle varie Banche centrali, quindi potremmo anche non essere completamente in antitesi: ma la questione è altra e ben più seria. Ce la mostra questo grafico, come vedete a cura di Morgan Stanley, non esattamente i primi che passano per strada in fatto di economia e finanza: a vostro modo di vedere, quel grafico ci mostra un’economia che sta per approssimarsi al picco o è già bellamente alla fine del ciclo economico (anzi, della bolla da denaro facile) e in perfetta area pre-crisi, ovvero pre-recessiva? 



 

A vostro modo di vedere, quell’ammontare delirante di debito con cui abbiamo a che fare, sarà così gentile da garantire agli Usa un paio d’anni, prima di reclamare il conto? Se potesse esservi utile, questo grafico ci mostra con quale mole di debito abbiamo a che fare: com’era la faccenda, molto in voga negli ambienti bocconiani, della lezione del 2008 finalmente andata a mente, della riforma del sistema voluta da Obama che ha messo il mondo al riparo da nuovi eccessi da azzardo morale? 

 

Evito di riproporvi per l’ennesima volta grafici e cifre relative al credito al consumo e ai prestiti per acquisti di automobili e per andare al college negli Usa, perché ormai li saprete a memoria: è in questo modo, riproponendo la ricetta dei subprime, che si dimostra di aver imparato dagli errori passati? Guardate poi questo altro grafico, il quale ci mostra plasticamente una cosa. Anzi due, esattamente come le alternative che il mondo occidentale e le sue economie hanno da spendere: la prima è andare incontro a uno tsunami di deleverage forzato come non se ne sono mai visti, mentre la seconda è proseguire con il Qe sine die. Tertium non datur, spiacente.




Quel grafico è chiarissimo: la linea gialla mostra il debito come percentuale del Pil nominale relativamente ad aziende non finanziarie negli Usa, mentre quella verde ci mostra il tasso di default legato all’alto rendimento: completamente in de-couple, il mondo degli unicorni e degli arcobaleni perenni. Grazie alla Fed, ci si può indebitare quanto si vuole, tanto non si fallisce: è un’opzione win-win quella delle Banche centrali, visto che operando come prestatori di prima e ultima istanza, eliminano di fatto qualsivoglia rischio di mercato, oltre ai concetti base dello stesso, come il mark-to-market e la price discovery. Nessuno in questo momento sa con esattezza il valore reale di un asset, semplicemente perché la distorsione è tale da far diventare investment grade ciò che è di fatto junk in base a tutti i criteri di rating: la stessa Bce, più conservativa e pudica della Fed, non fosse altro per il pungolo della Bundesbank, quando ha intravisto in lontananza il pericolo non ci ha pensato due volte prima di attivare il programma di acquisto di bond corporate, di fatto senza limitazioni legate al rating. 

Ora, volete dirmi che il professor Tabellini non sa queste cose? Che non è conscio del fatto che, se di crescita si è potuto parlare, questa è stata limitata e tutta focalizzata sul mantenimento di criteri che si riverberassero in maniera diretta e rapidissima sui mercati azionari? Ovvero, volete dirmi che alla Bocconi ignorano che ormai la vulgata è quella in base alla quale un’economia è automaticamente sana se il mercato azionario cui fa riferimento appare sano? Non importa che le Borse siano cresciute per l’aumento a dismisura del debito e poco altro, non importa che se calassero davvero i buybacks scopriremmo i veri valori e le vere quote degli indici: importa poter parlare dei rallies azionari, poiché questi sono – stando alla nuova narrativa – la cartina di tornasole dell’altro grande totem, ovvero la crescita globale sincronizzata. 

Peccato che, l’altro giorno, sia stata una delle sacerdotesse vestali di questo story-telling, ovvero il Fmi, a smentirlo e con toni piuttosto allarmistici: volete dirmi che dopo la Bocconi, non possiamo più fidarci nemmeno degli analisti del Fondo monetario internazionale? Intendiamoci, l’articolo del professor Tabellini era incentrato al 90% sul debito pubblico italiano e sul suo destino, in tempi di probabili recessioni future e, soprattutto, fine della tregua garantita dall’effetto placebo della Bce sui mercati: e, al riguardo, poco da obiettare, ci stiamo godendo il sole, dimenticandoci di aggiustare il tetto per quando arriveranno le piogge. Vero. Però non si può decontestualizzare la questione italiana dal quella mondiale attraverso l’accettazione dell’assunto di base per cui il mondo sta comunque crescendo e bene, grazie alle politiche straordinarie. 

Non è vero e questo aggrava il tutto, perché se quelle politiche funzionano così bene, perché l’inflazione è – in tutti i casi di specie del Qe – lontana dall’obiettivo prefissato del 2% circa, nonostante anni di acquisti con il badile? Addirittura, la Bank of Japan che ha trasformato il mercato obbligazionario nipponico in un deserto dei volumi attraverso i suoi acquisti onnivori, ha spostato avanti di un anno l’obiettivo temporale per il raggiungimento del target, dal marzo di quest’anno a quello del prossimo: significa che sta funzionando o che l’Abenomics, così come i Qe statunitense ed europeo, è servito solo a salvare l’indice Nikkei e le grandi corporations giapponesi? Come mai le banche europee non sono riuscite a riattivare il meccanismo di trasmissione del credito, nonostante il diluvio di liquidità dell’Eurotower? E non negatelo, perché altrimenti spiegatemi come mai Draghi ha sfidato apertamente l’ira funesta di Weidmann, attivando il programma di acquisto di corporate bond, il quale è di fatto nulla più che un finanziamento diretto delle imprese europee da parte della Bce, bypassando proprio il sistema bancario, le sue rigidità e i suoi costi. E come mai, se tutto è così bello e funzionale, il Libor continua a salire, tramutandosi da canarino a struzzo a pterodattilo nella miniera per segnalare l’approssimarsi del rischio di scarsità di liquidità in dollari a livello globale, se davvero la Fed continuasse ad alzare i tassi e la Cina non operasse in contemporanea un offset come si deve, riattivando il suo impulso creditizio di reflazione? 

È ovvio che l’Italia rischia di pagare un conto maggiore nel servizio e nella sostenibilità del suo debito monstre, una volta che la Bce smetta di operare in modalità espansiva e che il costo del denaro tenda a normalizzarsi ma se non si racconta la verità più generale, se non si offre alla gente il quadro reale dell’incubo monetarista ed espansivo in cui siamo precipitati dal almeno sei anni, è il contesto dei costi reali che andremo a pagare a sfuggire. I disastri tipo 2008 nascono da questo, sottovalutazione o, peggio, occultamento della verità globale. 

Parliamoci molto schiettamente: chissenefrega dell’avanzo primario o dello spread, se esplode la bolla di Wall Street: saremo comunque tutti degli zombie il giorno dopo, anche con l’avanzo primario al 7-8%. Per il semplice fatto che i conti un po’ più in ordine potevano tamponare un po’ meglio lo shock di dieci anni fa, evitando di farci perdere 25 punti di Pil, ma oggi, con il carico debitorio venutosi a sedimentare dal 2008 in poi, nulla può salvarti. Se non proseguire con l’eroina monetaria e sperare in un miracolo: o, più facilmente, in una maga-moratoria a livello globale, un grande reset che eviti l’armageddon. Non c’è stata e non c’è alcuna ripresa globale e sincronizzata, si è trattato unicamente dello stimolo da eccesso creditizio cinese, quell’insostenibile – sul lungo termine – espansione monetaristica che ha sortito l’effetto di non far quasi percepire il passo di danza all’indietro della Fed. 

Ma guardate quest’ultimo grafico: a partire dal 2008 e con la sola eccezione del 2010, breve e modesta, l’indicatore Tfp (Total Factor Productivity) a livello globale è stato in perenne contrazione. Ovvero, zero crescita. Se non quella del numero di aziende zombie e strutturalmente disfunzionali tenute in vita dai soldi delle Banche centrali. Punto. Quindi, prima di sviscerare – come è giusto fare – i rischi particolari per il nostro debito pubblico, forse dire la verità sul quadro d’insieme sarebbe intellettualmente onesto. Altrimenti sorge davvero il dubbio che più sono roboanti i nomi e prestigiosi i titoli e meno ci si avvicini alla realtà, salvo prenderla in faccia come un treno che esce dal tunnel. E di cui si erano scambiati i fari per la luce della ripresa. Globale e sincronizzata, si intende.