I meno giovani ricordano forse una celebre battuta di Bette Davis nel film “Eva contro Eva”: Allacciate le cinture, la strada si profila dissestata. Per ora la finanza internazionale sembra quieta: i tassi d’interesse si mantengono bassi (nonostante il leggero aumento di quelli “di riferimento” americani), le minacce di protezionismo hanno suscitato tremori solamente per qualche giorno, l’affare Facebook-Cambridge Analytica ha suscitato scossoni prontamente rientrati. Tuttavia da un esame dei grafici pubblicati nella rubrica Buttonwood del settimanale The Economist del 31 marzo, ci si accorge che utilizzando il microscopio l’altalena delle borse dall’inizio dell’anno, da un lato, è stata significativa e, da un altro, che c’è una tendenza generale dei titoli azionari al ribasso. Nonostante l’andamento soddisfacente dell’economia mondiale: una crescita del Pil globale superiore al 3% e una del 2,5% nel continente vecchio (l’eurozona), anche se l’Italia arranca sull’1,5%. Al tempo stesso, però, le banche centrali stanno ritirando gli stimolanti che, introdotti nei momenti bui della recessione, hanno facilitato la ripresa, nonché la crescita di questi ultimi anni.



Il rialzo dei tassi d’interesse probabilmente continuerà; ha già ferito seriamente il Nasdaq e i mercati dell’alta tecnologia. I prezzi di alcune materie prime (segnatamente il rame) che anticipano il ciclo sono in ribasso (quello del rame è diminuito del 9% dal 31 dicembre scorso). “L’indice di sorpresa” di Citigroup – un indicatore che segnala se gli andamenti economici e finanziari saranno migliori o peggiori di quanto stimato dai maggiori istituti di ricerca – è in ribasso dall’inizio dell’anno.



Un aumento della volatilità dei mercati sembra probabile non solamente per ragioni economiche – gli Stati Uniti sono nel decimo anno di crescita continuativa, un periodo raramente superato, e quindi è plausibile una flessione nel prossimo futuro -, ma anche e soprattutto per determinanti politiche. Si respira aria di nuova Guerra fredda con assassinii di spie doppiogiochiste. Le più recenti nomine alla Casa Bianca mostrano una politica estera americana dominata dai “falchi”, tanto da mettere a rischio lo stesso riavvicinamento delle due Coree iniziato in questi mesi. Il terrorismo sta imperversando più di prima, anche in Paesi, come il nostro, che sinora non erano stati al centro della sua attenzione.



Ce n’è abbastanza per suggerire di allacciare le cinture. Non solo ai Governi alle prese con una messa a punto di strategie economiche e finanziarie (come quelli dell’Unione europea, in base alle procedure del “semestre europeo”). Ma anche e soprattutto ai risparmiatori. Dove sono nell’area dell’euro investimenti che resteranno abbastanza sicuri anche in caso di tempesta?

Ho trovato convincente un lavoro di Alvaro Leandro e Jeromin Zettlemeyer , ambedue del Peterson Institute for International Economics (il Cepr Discussion Paper No. DP12793). Dei due economisti, il secondo è molto noto anche in Italia in quanto a guida della componente tedesca dei 14 economisti franco-tedeschi che hanno stilato una proposta di riforma della governance dell’eurozona. Indicano quattro strade: a) un portafoglio diversificato composto di tranche di titoli di stato di alta qualità; b) obbligazioni di livello che abbiano come sottostante un pool diversificato di titoli di stato con un ottimo rating (in gergo Esbies); b) obbligazioni emesse da un intermediario finanziario di qualità, e garantite da un pool di titoli di stato di alta qualità (E-bonds) e d) obbligazioni emesse da istituzioni europee, che possano contare su contributi degli Stati membri o abbiano fonti dirette di approvvigionamento. Il documento illustra in dettaglio, e con tutte le argomentazioni tecniche del caso, i vantaggi e gli svantaggi di ciascuna delle quattro strategie.

Non è questa la sede per entrare in aspetti tecnici. Ciò che preme mostrare sono due aspetti: a) tenersi lontani dalla Borsa; b) scegliere obbligazioni che abbiamo come sottostante titoli di stato di qualità. Il rating di quelli tedeschi è AAA, quello di quelli francesi è AA, e quello degli italiani negli ultimi quattro anni è sceso a BBB (mentre il debito pubblico aumentava in termini assoluti e in percentuale del Pil).