C’è da chiedersi se a Francoforte, quando la incrociano per strada, i passanti non cerchino di cambiare marciapiedi per non incrociarla, come farebbero con un gatto nero. Perché ormai Danièle Nouy, il numero uno della Vigilanza Bancaria della Bce, non dismette più i panni della Cassandra, della profetessa di sventure, che peraltro si intonano bene a un’espressività che è agli antipodi dell’idea della cordialità e anche solo della serenità.
Insomma, questa “parca” del credito internazionale non perde occasione per sollevare sinistri presagi sul futuro dell’industria bancaria in genere e di quella italiana in specie. L’altro giorno si è prodotta in un altro dei suoi vaticini, estrapolando – correttamente, per carità: la questione è relativa all’opportunità, non alla fondatezza dell’enunciato – un dato oggettivamente inquietante sulle obbligazioni bancarie, che spaventa manco a dirlo soprattutto l’Italia. La Nouy ha evidenziato che l’Italia è il primo Paese in Europa per quantità di risparmio familiare assoggettabile al bail-in, cioè per quella categoria di investimenti finanziari che sono i primi a essere azzerati nel caso di una “risoluzione” (leggi: fallimento) della banca a cui si riferiscono. E la Nouy ha messo quest’osservazione nero su bianco in una lettera che ha scritto in risposta all’interrogazione dell’europarlamentare Sven Giegold.
Che significa? Significa che le famose “obbligazioni bancarie” emesse dalle banche e ficcate più o meno furbescamente nei portafogli dei loro clienti inconsapevoli (cioè: che hanno messo una crocetta su una casellina dicendo sì a una proposta che non erano minimamente in grado di valutare) rimpinzano i depositi amministrati dei correntisti normali, i quali hanno trasferito i loro soldi dai conti correnti protetti dal Fondo di garanzia o, peggio ancora, dall’investimento in titoli di Stato protetto dal merito di credito della Repubblica Italiana, a oggetti di investimento privati, non protetti, che anzi la legge europea attuale sui fallimenti bancari bolla di rischiosità affine per certi versi all’investimento azionario, fidandosi della parola di gente che non conoscevano e spesso di gentaglia. Diciamo che la turlupinatura a scoppio ritardato è compiuta.
Oltre il 40% delle obbligazioni bancarie emesse in Italia è stato sottoscritto da famiglie, contro il 10% in Francia, il 20% in Germania e Spagna, il 30% in Portogallo. Si calcola che nell’insieme valgano circa 40 miliardi di euro. Se le banche che le hanno emesse fallissero, queste obbligazioni sarebbero carta straccia, com’è successo a quelle di Banca Etruria & C. Intendiamoci: a oggi, non c’è nessuna avvisaglia di altri fallimenti bancari in Italia e quindi la valutazione fornita dalla Nouy, ironie a parte sulla sua espressività quaresimale, è puramente statistica, più che essere un segnale d’allarme. Eppure la signora – opportunamente – ha ribadito una tesi che ha formulato da tempo: che cioè in futuro, queste obbligazioni rischiose non vadano più fatte sottoscrivere a investitori ignoranti, come sono sempre le famiglie, quanto riservate a investitori istituzionali. E per riuscire in quest’intento senza riscrivere le normative sulle diverse tipologie di investitori basterebbe, secondo lei, obbligare le banche a emettere questi strumenti con un “taglio minimo” da centomila euro, in modo che solo gli investitori istituzionali o i privati ricchissimi li acquisterebbero, a loro rischio e pericolo.
Resta da chiedersi se e quali rischi sussistano di ulteriori risoluzioni bancarie. I nostri istituti di credito si direbbero ormai “spurgati” dal grosso delle loro sofferenze. E allora? Basta a dormire sonni tranquilli? No: perché intanto non sono ancora del tutto spurgati e poi perché l’aumento dei tassi d’interesse, che incombe sul futuro a medio termine dell’euro, rischia di cambiare le carte in tavola al mercato, facendo rendere di più gli investimenti ma anche costare di più i prestiti e il loro rimborso, con effetti imprevedibili sulla stabilità degli emittenti. Bando ai vaticini, quindi, e pensiamo piuttosto a prevenire il rischio delle famiglie sulle obbligazioni bancarie promuovendo il trasferimento a investitori istituzionali di questo stock di risparmio familiare improprio, con incentivi fiscali e/o prescrizioni regolatorie.