Oggi 23 aprile si attende la decisione del Capo dello Stato dopo le 48 ore di riflessione prese al termine del poco fruttuoso giro di perlustrazione da parte della Presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati nella qualità di esploratore. Si prospetta un incarico analogo al Presidente della Camera dei Deputati Roberto Fico. Mentre l’incarico alla Alberti Casellati aveva l’obiettivo di esaminare le possibilità di un Governo M5S-Centrodestra, quello a Fico avrebbe come obiettivo principale studiare se ci sono le condizioni per un “contratto di governo” M5s-Pd. Il Capo dello Stato potrebbe anche rompere gli indugi e conferire un pre-incarico a personalità di grande prestigio, e di grande esperienza politica, con il compito di verificare le possibilità di un Governo sostenuto da tutti i maggiori schieramenti, a ragione della gravità della situazione internazionale e delle crescenti preoccupazioni di finanza pubblica che gravitano sul Paese.
Questa ipotesi è aumentata tra sabato e domenica quando è apparso palese che la sentenza di primo grado sulla cosiddetta “trattativa Stato-Mafia”, ha avuto effetti opposti quelli immaginati, in un primo momento, dal “capo politico” del M5s; invece di indurre la Lega a uscire dalla coalizione di centrodestra, l’ha spinta a stringersi ancora di più a Forza Italia, nella convinzione di acquisirne parte degli elettori, man mano che, anche e soprattutto per ragioni anagrafiche, Berlusconi si allontana dalla politica attiva. In tal caso, M5s resterebbe con il classico cerino accesso e non avrebbe altra strada che quella di un accordo con il Pd per quello che sarebbe un “governicchio”, a ragione di una maggioranza molto risicata e dei contrasti interni ai democratici. Mentre Salvini e la Lega aspetterebbe in riva al fiume l’esito dei risultati non tanto delle elezioni regionali in Molise e Friuli-Venezia Giulia, quanto di quelle in giugno in cui milioni di italiani andranno a votare per rinnovare migliaia di amministrazioni comunali.
È su questo sfondo che si pongono i problemi di finanza pubblica che incombono sull’Italia che, in questi giorni, non solo le forze politiche (assorbite dalle trattative per la formazione del Governo), ma anche la grande stampa sembrano se non ignorare quanto meno non dare a essi il rilievo che meriterebbero.
Il primo riguarda l’economia internazionale, ma tocca specificatamente l’Italia. Al termine di una delle più lunghe fasi di espansione dopo la Seconda guerra mondiale, si sta approssimando un rallentamento che potrebbe essere l’inizio di una nuova recessione. Il Fondo monetario internazionale e il Centro studi Confindustria prevedono un leggero scivolo verso una graduale, ma breve, contrazione del Pil mondiale. L’Italia, anche per le politiche adottate e seguite negli ultimi anni, non è stata in grado di agganciarsi alla ripresa mondiale e ora rischia di essere trascinata in una nuova recessione.
Più preoccupato e più preoccupante il quadro delle maggiori agenzie di rating: guardare i mercati finanzari – scrive tacitaniamente ed eloquentemente The Economist nel fascicolo del 21 aprile – vuol dire assistere a un film dell’orrore. Vi risparmiamo i dettagli. In sintesi, il “governicchio” sarebbe alle prese con severe difficoltà sul fronte sia del sistema bancario (alla prese con crediti deteriorati, incagliati e non esigibili), sia del quello della valutazione del nostro debito pubblico e dei nostri titoli di stato. Già “il gruppo degli otto” Stati dell’Unione europea esprime dubbi sulla validità di valutare al nominale i nostri titoli di Stati nella pancia della Banca centrale europea.
Il secondo riguarda la strada verso il consolidamento della finanza pubblica. Subito dopo le elezioni – occorre ricordarlo – è giunta all’Italia una lettera della Commissione europea che esprime perplessità sulle legge di bilancio 2018, e a maggiore ragione sui conti previsionali per il 2019 e 2020. Appena insediato il “governicchio” dovrebbe fare una “manovra di aggiustamento” di circa 15 miliardi unicamente per il 2018 (in corso) e prevedere misure severe per il 2019 e 2020. Ciò vorrebbe dire incidere pesantemente su provvedimenti in essere cari al Pd e su provvedimenti futuri in bella vista nelle proposte elettorali del M5s. Non certo il modo migliore per iniziare un matrimonio più di interessi (politici e legittimi) che di amore (Pd e M5s si sono scambiati insulti negli ultimi cinque anni),
Il terzo riguarda il debito pubblico. Con l’adesione all’euro, il beneficio in termini di riduzione del costo del servizio è stato cospicuo: nel 1996 pagammo 115 miliardi di euro (equivalenti) di interessi sul debito; nel 2006, 66 . Non abbiamo fatto buon uso di questo vantaggio e oggi il nostro debito pubblico, in rapporto al Pil, è al 132%, il secondo (dietro quello giapponese) tra i grandi Paesi industriali; il 30% è nelle mani di non residenti; la durata media è 6,11 anni. Un “governicchio” potrà trovare e iniziare la strada per uscirne?