Sul Corriere della Sera di ieri, l’intervista a Sigmar Gabriel, ministro degli esteri tedesco fino al voto 2017, ha avuto riservato lo stesso spazio aperto alcune pagine prima a Silvio Berlusconi. Il protagonista della conversazione era Vladimir Putin: il grande amico russo del Cavaliere, il quale nel 2011 pagò cara la doppia “amicizia pericolosa” con il leader del Cremlino e con il colonnello Gheddafi. Il rais libico è morto tragicamente da tempo, Berlusconi ha perduto il 4 marzo scorso ogni residua illusione di tornare premier e in Germania il nuovo governo di coalizione fra Cdu-Csu e Spd (sempre meno “grande”) sta faticosamente levando gli ormeggi dopo sette mesi di gestazione. E l’Europa appare debole, frammentata: perfino nel suo storico architrave carolingio.



Una Merkel IV invecchiata è chiaramente infastidita dal frenetico attivismo del presidente francese Emmanuel Macron, che ha trascinato abusivamente le insegne Ue dentro l’ennesimo show militare in Siria. Sette anni dopo la guerra di Libia, si è formata una nuova coalizione d’occasione fra Usa, Gran Bretagna e Francia: ma alla Casa Bianca ora c’è Donald Trump e Londra, nel frattempo, ha rotto i ponti con l’Unione. E poi il nemico non è più Gheddafi, “pericolo pubblico numero uno” per tutti sul globo. Dietro la sagoma di Assad — che l’Euramerica ha sempre considerato più un fattore di stabilità che un problema in Medio Oriente — si staglia il profilo di Putin, appena rieletto per la quarta volta presidente a Mosca.



“Maltrattare Mosca non servirà”: questo afferma a tutta pagina sul Corriere Gabriel, sotto una grande foto di suo incontro con Putin a San Pietroburgo, l’estate scorsa. E dice: “Nella socialdemocrazia tedesca c’è assoluta unità sulla necessità di dialogo con Mosca: varare sempre nuove sanzioni e non tentare in alcun modo di capirsi ci porta in un vicolo cieco”. Infine: “Sulla Siria l’Europa giochi unita”, non con la Francia che lancia missili in proprio, accentuando la debolezza della Ue.

Più chiaro di così ci sono solo alcune cifre riportate nei giorni scorsi dal Financial Times (cuore britannico — anche se non caldissimo verso la premier Theresa May — ma occhio perennemente vigile sui portafogli dei grandi investitori): l’export tedesco verso la Russia è cresciuto nel 2017 fino a 28,6 miliardi di euro, ma lontano dai 38 miliardi del 2012 per-sanzioni. E mentre sul tappeto c’è il progetto North Stream — grande infrastruttura energetica fra Russia e Ue — Mosca è scivolata in basso fra i partner commerciali della Germania. Intanto un grande istituto di ricerca (Mpi) ha rivisto fortemente al rialzo le probabilità di recessione in Germania. L’impasse, in ogni caso, non sembra destinata a durare.



Venerdì prossimo è attesa a Washington per il suo primo incontro con Trump dopo la formazione del nuovo esecutivo. Il Wall Street Journal le ha preparato la strada con un’indiscrezione pesante: la Germania chiederà agli Usa forme di esenzione per le proprie imprese dalle nuove sanzioni “siriane” annunciate dalla Casa Bianca. Nessuno per ora ha smentito: neppure — venerdì scorso a Washington per il summit Fmi — il neo-ministro delle Finanze tedesco Olaf Scholz, socialdemocratico e — dicono — molto lontano dalle posizioni del suo predecessore Wolfgang Schäuble. Nel frattempo i rumor si infittiscono e tutti citano la compatta pressione della “Deutschland Ag” (grandi imprese ma anche sindacati) contro il massimalismo della Merkel — ex tedesca orientale — contro Mosca.

Chissà intanto venerdì 27 a che punto sarà la notte politica in Italia. Chissà quanti nuovi sms si saranno scambiati Matteo Salvini (l’unico leader italiano ad aver definito “pazzesco” l’attacco alla Siria) e Luigi Di Maio, l’unico leader italiano ad aver applaudito senza se e senza ma. Ma il suo elettorato esporta poco: in Russia o altrove. Quello del centrodestra/centronord, invece, guadagna parecchio da vivere al Paese esportando molto: in Russia e altrove.