Era il luglio del 2015 quando sul Sussidiario veniva scritta, a proposito di Vincent Bollorè, la seguente descrizione: “L’altra faccia del finanziere bretone è quella di un signore con sullo stomaco setole d’acciaio, che come business prevalente finora del suo gruppo ha scelto la logistica mercantile nel continente nero (…). Un business che richiede nella migliore delle ipotesi – che sarà senz’altro quella di Bollorè, sia scritto a scanso di querele – la capacità di respingere le continue richieste di tangenti che arrivano dalle pseudo istituzioni africane; e nella peggiore delle ipotesi, che non riguarderà giammai l’immacolato Bollorè, richiede la disinvoltura necessaria per accordarsi sulle percentuali”.
Due anni e mezzo fa: non era vaticinio, non erano fonti riservatissime, era buon senso, quel che dettava quelle righe. Leggere oggi la notizia piombata nelle redazioni di tutto il mondo, col potente Bollorè – amico dell’Eliseo di Sarkozy, ma non di Macron! – fermato a Nanterre per presunte tangenti pagate a funzionari per ottenere concessioni in Africa, fa effetto, ma anche no. Era solo questione di tempo. Poi, per carità: attendiamo istruttorie e sentenze. Ma dev’essere chiaro a tutti che ammanettare un boss economico-politico di quella fatta è per la Francia un po’ com’è stata in Italia la condanna di Berlusconi per frode fiscale. Ora, tanti auguri a Bollorè, ma è chiaro che la sua stella è al tramonto. Il che fa rovesciare sul mercato italiano una straordinaria reazione a catena.
Che esito potrà mai avere l’assemblea del 4 maggio prossimo con cui Tim dovrà cambiare il suo vertice? Chi voterà per la lista stilata da un signore ristretto nella sue patrie galere anziché optare per quella proposta dagli americani del fondo Elliott? E chi ometterà di notare quanto sia imbarazzante, per Mediobanca, avere un carcerato nel ruolo di maggior singolo azionista? E come potrà tutto ciò non riflettersi nell’intrico di cause intentate dalla Fininvest contro Bollorè per la sua opacissima, tentata (e fallita) scalata a Mediaset?
Insomma, augurando al bretone pronta guarigione giudiziaria e – comunque – proficuo pensionamento in Bretagna, lontano dalle tossiche atmosfere subsahariane, possiamo serenamente considerare in via di azzeramento le sue posizioni di potere nel Bel Paese. Il che però oltre a risolvere alcuni problemi ne determina altri. Proviamo a semplificare. Tim finisce nell’orbita degli americani. I quali hanno preparato, in vista del 4 maggio, una lista di nuovi amministratori tutti italiani, tra cui gente di valore come Fulvio Conti o Luigi Gubitosi. Dovrebbe quindi finir bene.
In casa Mediaset, il nemico è alle corde: ma questo non basta a sanare la crisi industriale e finanziaria in cui versa la controllata Mediaset Premium, che Bollorè si è rifiutato di comprare nonostante avesse firmato un contratto vincolante. Qualcosa andrà fatto: una ristrutturazione? Un write-off? Una vendita (ma a chi, e a che prezzo, cioè con quale minusvalenza?). Ha ragione Marina Berlusconi, oggi, a dire che “il signor Bolloré non si è smentito nel modo in cui si è comportato anche in Tim, perché ha usato la delicatezza e la compostezza di un Attila”. Ma Attila, quello vero, era celebre perché dove passava non lasciava neanche l’erba… Speriamo che in questo caso l’analogia sia smentita.
Poi c’è il quadrante Mediobanca-Generali. Nella drammatica latitanza di quel “capitalismo di sistema” che vede oggi negli ultraottuagenari Giovanni Bazoli e Giuseppe Guzzetti gli ultimi alfieri, chi mai sostituirà il gruppo del bretone nel ruolo di alleato dormiente, utile integratore a un fronte privato altrimenti fragile? Caltagirone e Benetton, che stanno compricchiando quote nel capitale del gruppo assicurativo? Meglio che niente, ma le briciole non sono nutrienti. Se qualcuno volesse scalare ora Trieste troverebbe la strada se non spianata certo meno presidiata: anche se è improbabile che ci sia al mondo un soggetto realmente interessato a un’azienda piena di belle competenze e validi asset ma anche di tanti titoli di Stato italiani che non sono precisamente – con la politica ballerina che abbiamo e la montagna di debito che ci sovrasta – il classico bene-rifugio. Insomma, non si arriverà mai – sarebbe troppo – a rimpiangere l’amico dell’ex presidente Sarkozy, anche lui in gravissime grane giudiziarie, ma quando si crea un vuoto è fatale che prima o poi a riempirlo si affaccino elementi nuovi, e da oggi in Mediobanca e quindi in Generali il vuoto c’è.
Non resta, davvero, che un’impennata di Intesa. Tutti ricordiamo quell’interesse virtuale esplicitato tempo fa Carlo Messina, il capo di Intesa , per le Generali. Intesa è oggi l’unico soggetto bancario che sia contemporaneamente solido, italiano e internazionale. Unicredito solido lo è di nuovo – dopo la ricapitalizzazione e la buona gestione Mustier – e internazionale anche, ma italiano mica tanto, quanto all’assetto di controllo. Che sia giunta davvero, per Intesa, l’ora di rispolverare il vecchio progetto, ammesso e non concesso che ancora lo voglia considerare?