Mario Draghi vi ha mentito ieri. Certo, non è la prima volta che accade, anzi. E poi, qual è la legge del banchiere centrale quando le cose diventano davvero gravi, almeno stando alla filosofia di Bernanke? Mentire. Il problema è che le bugie del governatore della Bce non si sono limitate all’ordinaria amministrazione, ovvero a ribadire che – seppur un po’ affievolita – la ripresa nell’eurozona resta solida e che ci sono prospettive ottimistiche per l’inflazione. No, ieri si è andati oltre. Il problema è uno solo e non riguarda le Banche centrali o i ministri dell’economia, bensì i media: tutti. Finché si continuerà a dedicare spazio a non notizie come la pantomima che sta proseguendo da quasi 60 giorni per la formazione del nuovo governo, quando anche i sassi sanno che la volontà è quella di arrivare a un governo di garanzia che, oltre a traghettare il Paese verso nuove elezioni (probabilmente in abbinata con le europee del maggio 2019), faccia ciò che vuole l’Europa in nome dell’emergenza (in primis, blindare in stile Fort Knox la legge Fornero da qualsiasi intenzione riformista futura), nessuno capirà nulla di come stanno andando davvero le cose. E, soprattutto, dei rischi reali che ci attendono dietro l’angolo del Qe. 



Non c’è niente da fare, l’analfabetismo finanziario in questo Paese non è limitato ai privati cittadini, purtroppo alberga in maniera stanziale anche e soprattutto nei media che avrebbero il dovere di informare: ma si sa, informazione fa rima – o, almeno, assonanza – con politica, spesso e volentieri nell’accezione deteriore del termine. Dico questo perché ora mi sono davvero stancato, in primis dell’ignoranza che trova sempre un ruolo giustificatorio: spiacente, l’ignoranza non ha giustificazioni. Si trova sempre il modo di informarsi, se si vuole. E, soprattutto, si trova sempre il modo di informare la gente, sempre se si vuole. In molti, troppi, non vogliono. Quindi, d’ora in poi sarà il vecchio adagio “chi è causa del suo mal, pianga se stesso” a guidare i miei moti di indignazione, al fine di moderarli e ricordare per bene che non sempre il potere ha torto nel prendere a torte in faccia la gente. Soprattutto, quando quest’ultima ha come unica preoccupazione le sorti della sua squadra di calcio o il nuovo modello di smartphone da comprare a rate con Taeg da codice penale. 



Vediamo cos’ha detto Draghi, per poi scoprire cosa non ha detto. «Tutti i membri del direttivo hanno sperimentato una moderazione nella crescita e una perdita di slancio, che è piuttosto ampia in tutti i Paesi e tutti i settori», ha dichiarato il governatore in conferenza stampa, pur sottolineando subito dopo come questo non preoccupi la Bce, la quale sulla base della consueta analisi economica e monetaria ha infatti deciso di mantenere invariati i tassi di interesse di riferimento: «Continuiamo ad attenderci che rimangano su livelli pari a quelli attuali per un prolungato periodo di tempo e ben oltre l’orizzonte dei nostri acquisti netti di attività». E fin qui, il solito nulla. 



Il board dell’Eurotower ha anche confermato l’attuale programma di acquisti di titoli fino a settembre, il Quantitative easing che sta andando avanti al ritmo di 30 miliardi di euro al mese e lasciato aperta la porta a una proroga di questa manovra – come al solito, «se necessario» – per favorire un ritorno dell’inflazione verso livelli inferiori ma vicini al 2%: «Bisogna continuare con pazienza, prudenza e persistenza», ha rimarcato Draghi. Ma proprio dall’inflazione, ha rimarcato Draghi, «arrivano ancora segnali di debolezza, mancano segnali di rialzo. Per cui rimane necessario un ampio grado di stimolo monetario per far crescere le pressioni inflazionistiche sottostanti». La linea è dunque la cautela, mitigata «dalla fiducia sul fatto che l’inflazione convergerà verso il target del 2% resta immutata».

E se i rischi legati alle prospettive di crescita dell’area dell’euro rimangono sostanzialmente bilanciati, «i rischi legati a fattori globali, compresa la minaccia di un aumento del protezionismo, sono diventati più evidenti», ha avvertito il numero uno della Bce. A detta del quale, «quello che è noto riguardo agli eventi recenti è che hanno un profondo e rapido effetto sulla fiducia delle imprese e degli esportatori e che a loro volta possono influenzare le prospettive di crescita». E il protezionismo potrebbe avere un impatto rapido e profondo sulla fiducia, «ma bisogna vedere se e come la retorica si trasformerà in azioni». In questo contesto, bisogna ripristinare i margini di bilancio. E questo «è particolarmente importante nei Paesi dove il debito pubblico resta elevato e l’attuazione delle riforme strutturali nei Paesi dell’area dell’euro deve essere sostanzialmente rafforzata», ha suggerito ancora Draghi, ritenendo prioritario anche migliorare il funzionamento dell’Unione economica e monetaria. «Il consiglio direttivo sollecita misure specifiche e decisive per completare l’unione bancaria e l’unione dei mercati dei capitali», ha concluso. 

Fin qui, bugie ce ne sono state parecchie ma le solite, nulla che debba allarmare più di tanto, soprattutto visto il grado di sedazione generale della gente. Vediamo invece dove sta la cosa grave. Se ricordate, la scorsa settimana avevo pubblicato questo grafico, nel quale si fa notare come tra la fine di marzo l’inizio di aprile, la Bce ha letteralmente raddoppiato da una settimana con l’altra il controvalore di suo acquisti di bond corporate, un aumento del 55% rispetto alla media da inizio anno. Come mai? 

Due le conclusioni più intuitive. Primo, con la fine del Qe che, almeno ufficialmente, non è più un miraggio, si tende ad accontentare il più possibile le necessità di finanziamento delle grandi aziende Ue e delle sussidiarie di quelle Usa e svizzere, le quali finora hanno utilizzato l’Eurotower e il suo programma Cspp come un bancomat per finanziare abbellimenti di bilancio a costo zero e bypassando il sistema bancario, il quale dal canto suo già rimanda segnali di tensione attraverso i picchi ininterrotti del Libor. Ovviamente, il giochino vale per i soliti noti, grandi aziende che possono permettersi emissioni obbligazionarie e rating formalmente investment grade o giù di lì: le Pmi, chi davvero tiene in piedi le economie, possono anche morire di tasse, mancati pagamenti della Pa e meccanismo di trasmissione del credito mai ripartito in maniera seria, a fronte dei miliardi regalati da Draghi a lorsignori. 

Non un bel segnale, comunque: se si emette debito come non ci fosse un domani e la Bce raddoppia gli acquisti significa che qualcosa di serio sta galleggiando sotto il proverbiale pelo dell’acqua. E potrebbe trattarsi di un iceberg bello grosso, visto che a beneficiare degli acquisti della Bce sono state in larga parte aziende tedesche e francesi, da qui anche l’interesso silenzio della Bundesbank rispetto al raddoppio del controvalore posto in essere dall’italiano Draghi. 

Seconda ipotesi, vediamo come reagisce il mercato a una dinamica simile, di fatto uno stress test per capire se qualcosa potrebbe andare fuori posto in maniera grave nel momento in cui gli acquisti di corporate bonds finiranno e le aziende dovranno tornare a finanziarsi sul mercato, ovvero presso le banche. E il risultato di quello stress test, paradossalmente, potrebbe essere stato questo: ovvero, il 30 marzo – una settimana dopo il raddoppio degli acquisti di corporate bond della Bce – gli spreads dell’investment grade europeo hanno toccato livelli che non si vedevano dall’estate 2017. Qualcuno ha inviato un segnale. 

 

Ora, guardate questi altri due grafici: la Bce ha cominciato a rallentare gli acquisti già la scorsa settimana, dando di fatto vita – mentre nessuno la guardava, perché impegnato in altre cose – a un principio di taper dei suoi acquisti. E non un taper da poco, come potete notare. In aprile, a livello di Cspp siamo a -50%, essendo passati da 1,4 miliardi alla settimana nel primo trimestre a 0,7 la settimana in aprile. Perché? 

 

Anche qui, due opzioni. Primo, si vuole operare uno stress test al contrario sui mercati, ma, soprattutto, valutare la risposta delle aziende a un’operazione di riduzione che potrebbe avere come scopo principale l’attutire il colpo quando davvero sarà finita la manna dei soldi gratis da Francoforte, ovvero evitare che si passi da tutto a niente, dal bancomat illimitato alle condizioni, magari capestro, delle banche. Perché il rischio non è solo quello del finanziamento che viene a mancare, ma anche – e, forse, soprattutto – del disvelamento al mondo di ciò che già si sa ma si finge di non vedere: metà delle aziende europee sono cosiddette zombie firms, ovvero vivono solo grazie alla Bce che garantisce l’investment grade. Se si torna a condizioni di mercato e di valutazione dei rating di credito reali, parte la catena dei default stile Usa nel 2009. 

Seconda opzione, ce la mostra questo grafico a due figure: si sta palesando la scarsezza di securities, ovvero bonds, eligibili all’acquisto, sia sovrani (Bund in testa, visto lo stop alle emissioni della Bundesbank) che corporate. Questo implica a sua volta due fronti: primo, si utilizza l’esperimento come test di reazione dei mercati all’idea che le aziende vadano incontro, d’ora in poi, a reali difficoltà potenziali di finanziamento. Due, ottenuto il risultato sperato, ovvero tremori visibili sugli spread da vendere ai mercati, arrivare a un allentamento ulteriore sui criteri valutativi per l’acquisto dei bond, soprattutto corporate: a quel punto, da qui all’autunno potrebbe configurarsi il più classico degli assalti alla diligenza, con emissioni a nastro per garantirsi più cash possibile, finché dura la festa. 

 

In questo modo, si otterrebbe l’ennesimo calcione al barattolo, permettendo un surplus di finanziamento alle aziende principali tale da portarle in sicurezza fino al 2019, sperando che le criticità non a caso citate da Draghi come rischi potenziali al ribasso, facciano ripartire il Qe in grande stile ovunque, Fed in testa. Ecco la grande bugia di Draghi, non tanto non aver raccontato in conferenza stampa della sua attività da novello dottor Frankenstein con gli acquisti obbligazionari per testare le reazioni, ma continuare a spacciare l’eurozona come un sistema economico non solo sano ma in continua a costante ripresa: metà delle aziende europee sono tecnicamente fallite, senza la Bce. Meglio saperlo subito, almeno non rimarremo a bocca aperta quando la XY che tutti ritenevamo così solida, finirà a zampe all’aria o per non farlo dovrà licenziare metà della forza lavoro e tagliare del 75% il CapEx. 

Perché è così che andrà a finire. Ma noi continuiamo pure a preoccuparci dei mandati esplorativi, sicuramente un governo M5s-Pd risolverà ogni criticità con lo schioccare delle dita. Basti vedere lo stato dell’economia reale in cui hanno fatto precipitare il Paese negli ultimi anni, per averne conferma. Unite al pregresso il contributo fondamentale dei premi Nobel per l’economia che albergano fra i grillini e avrete l’esatta idea di cosa vi attende. Capite perché sarà governo del presidente, come si sapeva fin dall’inizio, fin da prima del 4 marzo? Perché saranno lacrime e sangue, quelle vere stavolta.