“Il Def presentato viola la normativa europea e nazionale (art. 2 comma 2 legge 39/2011) in quanto privo di obiettivi programmatici e di manovra per raggiungerli. Non è dunque Def. E’ irricevibile”: così Gustavo Piga, professore di economia politica all’Università Tor Vergata di Roma, ha bocciato, via twitter, il Documento di economia e finanza presentato l’altro ieri da Paolo Gentiloni e Pier Carlo Padoan.



Perché è “irricevibile”?

Più che irricevibile, il Def presentato da Padoan è “contra legem”, un documento da centro studi, inutile, visto che tutti sanno calcolare i tendenziali. È un documento incompleto, perché manca delle riforme programmatiche. E questo è un precedente pericoloso.

Si sapeva da tempo, però, che il Def sarebbe stato presentato dal governo Gentiloni e che sarebbe stato a politiche invariate…



Il problema è perché il governo Gentiloni l’abbia voluto fare, solo per ribadire di aver attuato per bene tutte le richieste della Ue. Ma le commissioni Bilancio e Politiche europee della Camera, con voto all’unanimità dello scorso 7 febbraio, hanno bocciato l’inserimento, nell’ordinamento giuridico comunitario, del Fiscal compact con l’obbligo del pareggio di bilancio entro tre anni, un obiettivo che è possibile raggiungere esclusivamente con manovre lacrime e sangue. Il governo, dunque, ha sbagliato due volte.

In che senso?

Innanzitutto per aver mantenuto l’obiettivo del pareggio di bilancio nonostante quel voto e, in secondo luogo, per averlo costantemente rinviato, creando così tensioni e pessimismo tra gli attori economici, frenati e impauriti dalla prospettiva del suo avverarsi.



Intanto resta il nodo delle clausole di salvaguardia…

Qui sta il paradosso: le clausole di salvaguardia, per ammissione stessa del Def, abbasseranno le previsioni di crescita all’1,3% nel 2020. Insomma, si programma la decrescita.

Il ministro Padoan, però, in conferenza stampa si è augurato che il nuovo governo sterilizzi le clausole di salvaguardia…

Padoan se lo augura, ma conferma nel Def l’obiettivo del Fiscal compact, il che significa trovare 30 miliardi entro il 2020. Se anche si sterilizzassero le clausole di salvaguardia, quei 30 miliardi sarebbero comunque da trovare. Che facciamo, un aumento dell’Irpef o dell’Ires di quelle dimensioni? Oppure scoviamo i 30 miliardi tagliando i dipendenti pubblici, che ormai sono la metà di quelli francesi? Direi che si capisce facilmente perché con il voto del 4 marzo il governo sia stato mandato a casa dopo 5 Def tendenti alla decrescita. E nessun nuovo governo, qualunque sarà la sua composizione, si schiererà a favore di un Def simile.

Questo Def tecnico prevede il rapporto deficit-Pil nel 2019 ridotto allo 0,8% dal proposito di 0,9% dell’autunno scorso, il saldo primario che cresce al 2,7% e il pareggio di bilancio confermato al 2020. Insomma, non lascia molto spazio di manovra al prossimo governo. Ci saranno correzioni tra il tendenziale e il programmatico?

Sono sicuro che rispetto alle cifre da centro studi la politica si prenderà tutto lo spazio necessario. Serve un disegno organico e non fallimentare per indicare dove si vuole portare il Paese nei prossimi cinque anni. Il primo Def, che come ho già avuto modo di ricordare è quello che conta, dovrà essere chiaro e coerente con la decisione delle commissioni Bilancio e Politiche europee di non inseguire il Fiscal compact.

E sul rapporto deficit/Pil?

Mi auguro che venga mantenuto sempre il 3% del deficit e che venga finalmente debellato il male strutturale di questo paese.

Quale?

Il non avere una seria e intelligente spending review. Occorre una vera riqualificazione della spesa pubblica: spending review e spesa buona non sono in contraddizione, anzi, vanno a braccetto.

Il rallentamento della crescita, legato anche a fattori esogeni, può riportare d’attualità la richiesta della Ue, avanzata lo scorso autunno, di correggere dello 0,2% i nostri conti pubblici?

Non credo che ci verrà chiesta. L’Europa ha imparato: l’aver imposto a governi troppo supini solo politiche nel segno dell’austerity ha prodotto le profonde trasformazioni delle maggioranze politiche e parlamentari a cui abbiamo assistito con le ultime elezioni, Italia compresa. Continuare con questa rozzezza e insensibilità ai lamenti dei territori e delle persone non porta da nessuna parte, non fa andare avanti. Lo si vede anche nella costruzione della nuova architettura europea a cui stanno lavorando Macron e la Merkel: va pensata con molta calma, ci vuole tempo.

Ma in questa partita l’Italia è assente…

L’Italia può giocare un ruolo fondamentale per far ripartire l’Europa. Mi aspetto tantissimo da un nuovo governo e da un nuovo documento programmatico. Basta, però, con i progetti di decrescita.

A dire il vero Padoan ha parlato di stime molto prudenziali: “La mia opinione personale – ha dichiarato – è che il Pil possa andare almeno al 2%”. È d’accordo?

Sì, su questo punto concordo con Padoan. Anzi, penso che l’Italia possa crescere anche al 3%. Il problema è come farlo e su questo ho un approccio opposto. Bisogna spendere di più, ma meglio. L’Italia ha un gap di capitale umano, sociale e infrastrutturale enorme. Per fortuna, sulle politiche per le infrastrutture M5s, centrodestra e Pd hanno vicinanze d’intenti che fanno ben sperare. Un po’ meno sulla spending review, visto che ne parla solo il M5s. E’ necessario che parta al più presto un dialogo e un confronto serrato su come tagliare gli sprechi.

Tra i segnali positivi Padoan ha citato anche il sistema bancario, che non è più in crisi. Il peggio è davvero alle spalle?

Non credo. Il governatore Visco ha recentemente ricordato che l’economia non si sblocca se la finanza resta incagliata e viceversa. In dieci anni di crisi la Ue è cresciuta da un indice 100 a 110, mentre l’Italia è scesa a 95, cioè ha accumulato un ritardo disastroso. Il settore bancario è decisivo per il sostegno all’economia reale e l’azione della Bce, in tal senso, è molto utile. Ma solo rimettendo in moto i due motori, quello economico e quello finanziario, l’Italia potrà riprendere il volo.

(Marco Biscella)