Moon Jae-in e Kim Jong-un soltanto tre mesi fa erano alle soglie della guerra atomica e adesso girano tenendosi per mano, addirittura con Kim che promette al suo omologo sudcoreano di non svegliarlo più all’alba con i suoi esperimenti nucleari. E a cosa si dovrebbe questo miracolo? Mistero, di fatto la pace è scoppiata grazie alle Olimpiadi invernali organizzate da Seul e a cui ha partecipato una coppia di atleti nordcoreani di pattinaggio sul ghiaccio. Credibile vero come narrativa? Per carità, nulla che mi possa dispiacere, ma da qui a ritenere che dietro a quanto sta accadendo al mondo non vi sia una regia ben precisa, ce ne passa. Anche perché durante lo storico incontro pare si sia parlato addirittura di riunificazione: non tanto come atto formale, ma come obiettivo dell’anima e del cuore, essendo i coreani – di fatto – un popolo solo diviso dall’ideologia.
In effetti, qualcuno potrebbe essere interessato a uno sviluppo simile: perché una Corea riunificata rappresenterebbe, di fatto, l’esperimento sociale ed economico distopico perfetto, nemmeno Orwell sarebbe arrivato a tanto. Guardate questa tabella e strabuzzate gli occhi: già, Seul è la numero uno al mondo in fatto di robotica applicata all’industria, 631 robot ogni 10mila lavoratori, soprattutto nei comparti manifatturiero e dell’elettronica. Bene, unite questa dinamica futuristica e alienante al Paese degli alienati per antonomasia, robot-umani che vivono da decenni in uno stato quasi larvale di dittatura: la perfezione assoluta per ogni dottor Frankenstein che voglia saggiare i possibili risultati produttivi cui potrebbe arrivare una società privata in ampi strati del fattore umano.
Pensavate, vero, che fosse la Cina comunista a guidare la classifica? E invece no, sta sul fondo. Ci siamo prima noi e non di poco. E dopo Corea del Sud e Singapore, guardate chi c’è al terzo posto? La patria dei mini-job e dell’iper-produttività, alla faccia dei contratti dell’IG Metall che fanno battere le mani a quelli di LeU e della sinistra Pd. Se non lo avete capito, stiamo andando incontro a un mondo nuovo: e il fatto che questa definizione combaci alla perfezione con l’incubo descritto da Aldous Huxley nel suo capolavoro vi assicuro che non è un caso. Voi non ci credete, perché i media certe cose non le dicono, ma guardate che siamo davvero alle soglie di qualcosa che non avrà un ritorno, un cambiamento epocale: al netto della Brexit e del peggior dato del Pil dal 2012 comunicato ieri, penso che nessuno contempli la Gran Bretagna come un Paese in cui si vive male, si galleggia nella povertà diffusa. Anzi, ogni giorno i tg ci ricordano come Londra sia il paradiso per i nostri cervelli in fuga.
Bene, ieri l’Independent ha pubblicato un articolo nel quale si denuncia che la popolazione homeless nel Regno Unito sarebbe dieci volte tanto le stime ufficiali del governo, le quali infatti non contemplano i nuclei famigliari che vivono in alloggi temporanei e di fortuna come bed&breakfast e ostelli. Nell’anno conclusosi ad aprile 2016, erano infatti 51.500 le persone che vivano in questa condizione, contro le sole 5.870 delle statistiche ufficiali. Capito perché serve lo spauracchio del terrorismo interno, nonostante le strane dinamiche degli attacchi e il fatto che gli attentatori siano sempre noti alle forze di sicurezza, come in Francia d’altronde? Capito perché la May va a bombardare in Siria? Perché se dovesse far fronte ai temi seri, la sua permanenza al 10 di Downing Street non contemplerebbe le vacanze estive.
E che dire degli Usa? Proprio ieri è uscito il dato del Pil del primo trimestre, un 2,3% che peggiora il dato dell’ultimo trimestre 2017 (+2,9%), ma che è comunque migliore dell’atteso 2,0% del consenso generale degli analisti. E cos’ha portato al ridimensionamento rispetto agli ultimi tre mesi dell’anno scorso? Nulla di che, soltanto il crollo ai minimi da cinque anni della voce che pesa per il 70% del Pil statunitense, quei consumi personali cresciuti solo dell’1,1% rispetto al +4,0% del trimestre precedente. In compenso, a crescere sono stati i prezzi di energia e cibo, saliti rispettivamente del 12,4% e dello 0,4%, ma anche stipendi e salari nel settore privato, cresciuti a un ritmo che non si registrava addirittura dal 3° trimestre del 2008.
E qui, occorre fare un piccolo ragionamento. Primo, con numeri del genere, come farà la Fed ad alzare i tassi soltanto di tre volte ancora durante quest’anno? Siamo di fronte a cifre che imporrebbero una politica di normalizzazione del costo del denaro molto più drastica: siamo sicuri che sia possibile nella realtà, stante che ieri il grafico del Financial Times era dedicato ai tremori legati a dollaro e tassi Usa dei mercati emergenti? Secondo, questi numeri confermano che siamo al picco del ciclo per l’economia americana e se ben ricordate, cosa accadde dopo il terzo trimestre del 2008? Certo, ci volle il detonatore di Lehman Brothers, ma vi assicuro che in giro di bombe a mano già senza spoletta ce ne sono parecchie. Anzi, c’è proprio l’imbarazzo della scelta.
Qual è, quindi, la verità? Quali sono i veri numeri dell’economia Usa? Questi che parlano la lingua di una macchina che corre veloce o quelli che vedono Washington primeggiare soprattutto per leverage e debito, eredità ancora da riscuotere delle politiche della Fed post-crisi? Di fatto, entrambe le cose. Il problema è riuscire a mantenerle in equilibrio. E quando si va a vedere nel dettaglio, si scopre che certe paghe orarie sono completamente fuori mercato rispetto alla realtà macro del commercio al dettaglio, ad esempio Subway, catena di fast-food, per quest’anno ha già annunciato la chiusura di 500 punti vendita negli Stati Uniti, mentre grandi marchi come Sears stanno cessando le attività addirittura dentro i grandi centri commerciali, i mall che vediamo nei film: il tutto in un contesto che, però, vede di fatto l’inflazione galoppare, stante i numeri in continuo progresso legati a cibo ed energia.
E se il petrolio desse davvero una fiammata dopo 12 maggio, quando Donald Trump sarà chiamato a prendere una decisione sull’accordo nucleare iraniano? E se Israele decidesse di essere così disperata nella sua lotta per bloccare l’espansionismo iraniano da tentare un blitz di ampia portata in Siria, nonostante la messa in guardia dell’altro giorno da parte della Russia, la quale ha finalmente fornito dei moderni S-300 la contraerea di Damasco (capace comunque di abbattere 7 razzi su 10 sparati durante il raid di tre settimane fa con armamento di epoca sovietica)? Sui giornali non avete trovato traccia dello scambio di cortesie, ma giovedì Teheran e Tel Aviv hanno ricominciato con pesanti minacce reciproche, cui vanno unite quelle proxy di Washington e Mosca. Il tutto, mentre per pagare il via libera a una nuova destabilizzazione libica Emmanuel Macron ha tenuto fede alle promesse all’alleato Usa appena omaggiato: ieri sono infatti arrivate in Siria le prime truppe speciali francesi. Da che parte staranno, ora che sempre più prove oggettive stanno smentendo del tutto la narrativa dell’attacco chimico a Douma e mostrando non solo come si sia trattato di una messinscena, ma anche che il famoso laboratorio chimico colpito dai raid alleati, in realtà, fosse tutt’altro?
Finora è andato tutto bene, la pantomima generale per il riassetto del potere globale e dei vari benchmark di controllo economico-finanziario non ha portato a “incidenti” fuori programma, ma per quanto durerà questo copione? E, soprattutto, per quanto durerà il silenzio della Cina, sempre più alle prese con guai interni di ordine finanziario che stanno portando ai minimi termini l’impulso creditizio globale garantito da Pechino ai mercati? Il dato del Pil statunitense di ieri è il classico canarino nella miniera, uno stress test globale per vedere quale sia il reale grado di paura dei mercati, al netto di un Vix che dorme placido? Davvero qualcuno sta pensando al grande reset generale, ovvero a una sostituzione di massa dello stimolo cinese attraverso la riattivazione della pressa della Federal Reserve e alla prosecuzione forza quattro del Qe della Bce: non a caso, nel suo articolo di ieri dedicato alla conferenza stampa di Mario Draghi, il Corriere della Sera . non un dietrologo come il sottoscritto – adombrava addirittura nell’occhiello del titolo la possibilità di una continuazione del programma espansivo oltre il 2018. Solo un mese fa, in via Solferino avrebbero chiamato l’ambulanza per chi avesse solo ipotizzato un simile scenario.
C’è troppa calma e troppa concordia nell’aria, ci sono una Russia e una Cina troppo silenti e un’Europa che pare non voler guardare in faccia la realtà, attaccandosi all’ottimismo formale della Bce come un ubriaco si regge a un lampione. Qualcosa è in gestazione, qualcosa sta nascendo in meandri del potere che nemmeno sappiamo esistere, quasi. Si disveleranno a tempo debito. Quando sarà tardi per poterli contrastare, proprio come la strategia impone. «La guerra è finita», il messaggio giunto ieri dal confine coreano, slogan destinato oggi a essere il titolo di tutti i giornali. Non ne sono così certo, la guerra inizia solo ora. Ma si combatte con altri mezzi, non servono i missili.