“Sulla pelle del Sud”, viene da commentare leggendo i dati sul Mezzogiorno, la sua economia e la sua demografia contenuti nell’edizione di “Noi Italia”, l’appuntamento annuale dell’Istat con il riepilogo sui principali fenomeni economici, sociali e ambientali del Paese. Sulla pelle del Sud perché le lacune e le carenze del sistema pubblico si contabilizzano in anni di vita sottratti a chi vive al Sud: l’Italia – secondo l’Istat – presenta “un’aspettativa di vita fra le più alte in ambito europeo, occupa il secondo posto per gli uomini e il quarto per le donne: la speranza di vita (indicatore sintetico della qualità delle condizioni di vita) nasconde tuttavia l’esistenza di disuguaglianze a livello territoriale, riassumibili in uno svantaggio del Mezzogiorno di circa un anno rispetto al resto del Paese, che diventano circa tre considerando gli estremi della provincia autonoma di Trento (valore più alto) e la Campania (valore più basso)”.
Un dato sorprendente, e quasi choccante, perché svela quanto possa essere crudelmente concreta la traduzione pratica delle disparità organizzative, gestionali e infrastrutturali tra le “due Italie”. Viene in mente il pensiero che ispira quel piccolo ma irriducibile movimento sudista che si è riconosciuto in questi ultimi anni nei libri di Pino Aprile, il giornalista scrittore autore di “Terroni”. Un pensiero irredentista, che riconduce l’inizio della disparità all’unificazione militare dell’Italia sotto il tallone militare dei Savoia, e che qua e là può anche sembrare avvitarsi in un lamentismo sterile, ma effettivamente trova riscontro in dati come questi: se al Sud si muore prima e se a monte di questo dato di fatto certamente non ci sono né cause genetico-antropologiche, né cause politico-criminali, è perché – impossibile non dedurlo – la disuguaglianza può essere anche patogena, determinare malattie e soprattutto quella gravissima patologia, la più grave di tutte, che è la minore efficienza del sistema sanitario. Ci si lamenta dei trasporti pubblici inefficienti, al Sud, ci si lamenta della troppa burocrazia, o dell’immondizia che si accumula, ma tutto questo si riflette anche sulla minore efficienza del servizio sanitario.
L’altro grande elemento di divario Nord-Sud è ovviamente il lavoro, perché il nostro Mezzogiorno – rileva l’Istat – si colloca all’”ultima posizione nella graduatoria dell’Ue”. Tra il 2015 e il 2016 la quota delle famiglie che vanno avanti sotto la soglia della povertà è rimasta “sostanzialmente stabile”, confermando inoltre “il forte svantaggio del Mezzogiorno”. E c’è di peggio: se però si guarda all’intensità del fenomeno, ovvero a ‘quanto poveri sono i poveri’, allora si riscontra un aumento del gap: dal 18,7% del 2015 al 20,7% del 2016.
Certo, l’Istat basa i suoi calcoli sui dati statistici ufficiali e ufficialmente rilevabili, che non fotografano al 100% la realtà di un ecosistema. L’economia sommersa può essere soltanto “presunta” e non misurata in dettaglio, ad esempio. Però gli scostamenti statistici nel tempo descrivono i trend. E quello del divario Sud-Nord è molto peggiorato.
L’Istat non lo dice, e non è il suo compito, ma questi dati confermano ciò che alla fine sul piano politico il voto del 4 marzo scorso ha ben dimostrato: una spaccatura che sta diventando anche affannosa ricerca di alternative di sistema e fragilità emotiva alla suggestione di qualsiasi proposta programmatica, purché miracolistica. Le promesse di uno Stato assistenziale implicite nel programma dei Cinquestelle hanno sbancato perché hanno potuto ingranarsi in un meccanismo mentale che vede oggi soltanto nell’assistenza la possibilità di un riscatto al quale peraltro si ritiene di aver diritto.
Non che questo implichi che al contrario i sussidi siano il male assoluto: sarebbe anzi giusto che la società civile, non solo in Italia, si interrogasse con più lucidità e coraggio sulla ricerca di canali nuovi di redistribuzione del reddito che riescano a ricucire il gap tra l’enorme ricchezza derivante a pochi dal monopolio del capitale investito e la crescente povertà di chi vive col reddito da lavoro. Ma che sia giusto pensare ad esempio, come Bill Gates, a una tassa sui robot, che sia necessario discutere di sussidi di cittadinanza nelle massime sedi della programmazione politica, non toglie che le promesse del “qui e subito” con cui hanno vinto le elezioni i Cinquestelle al Sud sul tema del reddito e la Lega al Nord sul tema della sicurezza sono state promesse da marinaio. Che gli elettorati hanno però prese per buone. I dati Istat, per quanto riguarda un Sud dove si muore in media un anno prima per colpa delle disuguaglianze di sistema, fanno ben capire come mai.
Non che questo assolva il Sud, la sua classe dirigente e chi la sceglie, dalle ovvie correità sul fatto che queste disuguaglianze si siano accresciute negli ultimi anni, quelli della grande crisi, anziché ridursi. Ma una solidarietà sociale sana, in un sistema-Paese che voglia perseguire il modello istituzionale dell’unità nazionale consacrato nella Costituzione e non cedere all’alternativa federalista, deve trovare la strada per ricucire lo strappo. Altrimenti si procede senza dubbio verso forme di separatismo. Catalogna docet.