Il Documento di economia finanza è stato presentato dal Governo Gentiloni (in carica per l’ordinaria amministrazione) e verrà, quindi, esaminato dal Parlamento che si esprimerà con una risoluzione. È un Def “senza qualità”, non perché abbia carenze tecniche, ma poiché, al pari del romanzo incompiuto di Robert Musil Der Mann ohne Eigenschaften (L’uomo senza qualità), esprime la fine se non di un’epoca almeno di un lungo ciclo politico: il ciclo caratterizzato da un bipolarismo (ove non un bipartitismo imperfetto come lo chiamò Giorgio Galli in un importante libro del lontano 1966) sin dalla nascita della Repubblica.



Su questa testata si era suggerito che il Governo Gentiloni soprassedesse nel presentare il documento poiché sino al prossimo autunno (quando si deve presentare la nota di aggiornamento del Def come base per la Legge di bilancio) tutti i termini relativi alla presentazione al Parlamento, e poi, alle autorità europee, sono “ordinatori”, non “perentori”, per utilizzare il lessico dei giuristi; tanto più che non prevedono sanzioni. Quindi, un Def che descrive l’andamento economico nell’ultimo anno e contiene previsioni a normativa costante (ed è, quindi, necessariamente privo di qualsiasi proposta politica) è poco utile. È un Def sospeso i cui benefici non sono commisurati ai costi del tanto buon lavoro effettuato da funzionari e dirigenti principalmente del ministero dell’Economia e delle Finanze. Dato che a nessuno piace lavorare, anche duramente, senza una finalità, questo esercizio in futilità non giova certo ai rapporti tra livello politico e livello tecnico- amministrativo.



La lettura attenta del documento lascia l’impressione che sia stato scritto in vitru senza tenere conto dei difficili flussi in cui naviga l’Italia. Infatti, nelle previsioni per il futuro sembra si facciano estrapolazioni lineari degli andamenti nell’ultimo anno: un irrobustimento (molto moderato) della crescita, una riduzione dell’indebitamento netto delle pubbliche amministrazioni, una flessione anche del peso del debito sulla finanza pubblica e sul potenziale d’espansione dell’economia reale. Un quadro ottimista? Probabilmente, sì. Ma, e ciò e più grave, un quadro banale che non lascia alcuna eredità concettuale e strategica a chi dovrà governare il Paese. Non contiene neanche una riga sui “rischi di previsione”, un capitolo, di norma, importante in tutti i rapporti di uffici studi e centri di ricerca che fanno uso di previsioni econometriche.



Proprio nei giorni in cui il Consiglio dei Ministri licenziava il Def, Prometeia e CongiunturaRef presentavano le loro analisi. Il primo dei due istituti metteva l’accento sulla difficile ripresa in Europa tra pericoli geopolitici e possibili guerre commerciali; il secondo sull’ardua gestione dell’uscita dal Quantitative easing. Il giorno successivo alla diramazione del Def, il Centro Studi Confindustria pubblicava un rapporto sulle “clausole di salvaguardia” e gli effetti dei possibili aumenti dell’Iva. Questi tre documenti hanno un sentore , anzi “puzzano”, di economia e finanza reale più di quanto non si avverta leggendo un Def che olezza di polvere di scrivanie. I tre documenti citati sono densi di avvertimenti a chi avrà il compito di governare l’Italia di difficoltà e trabocchetti, internazionali e interni, su cui porre l’accento nel concepire e articolare una politica economica che coniughi crescita con equità e, soprattutto, con consolidamento della finanza pubblica e aumento della produttività multifattoriale.

I prossimi mesi saranno un cammino impervio non la strada rosea da Bella Addormentata nel Bosco che pare tratteggiata in un Def il cui sunto è dalla mattina del 27 aprile su tutti i giornali. I Governi in carica per l’ordinaria amministrazione spesso dimenticano il detto Il silenzio è d’oro. Il Governo Gentiloni, così preso dal fare nomine che forse travalicano i suoi compiti e forse speranzoso in un accordo M5s-Pd che mantenga qualche Ministro sulla sua poltrona, avrebbe fatto meglio a non redigere questo Def sospeso e senza qualità.