«I test non hanno potuto verificare la precisa fonte della sostanza. Non abbiamo identificato la precisa fonte, ma abbiamo fornito l’informazione scientifica al governo, che ha poi usato varie altre fonti per arrivare alla conclusione», ha affermato Gary Aitkenhead, direttore del laboratorio militare britannico di Porton Down. E a cosa si riferisce? Al gas nervino, il Novichok, utilizzato per avvelenare l’ex spia russa doppiogiochista, Sergei Skripal e la figlia Yulia, la quale a detta della autorità britannica non solo è fuori pericolo, sta meglio ma si alimenta da sola. 



Contenti? E cosa significa tutto questo? Semplice, che il governo britannico per nascondere il disastro che sta compiendo relativamente al Brexit e obbedire ai desiderata dei compari d’Oltreoceano del Deep State ha dato il via a una guerra diplomatica senza precedenti dopo la Guerra Fredda, basandola sul nulla. Parliamo di una campagna anti-russa a livello globale, la quale ha visto in prima fila Stati Uniti, Ue, Nato, tutti pronti a puntare l’indice accusatore contro il Cremlino: prove? Zero. Eppure, si sono ritirati ambasciatori, diplomatici e incaricati d’affari da una parte e dall’altra, chiusi consolati, minacciate nuove sanzioni economiche contro Mosca, operato con una modalità che nemmeno il maccartismo più bieco aveva conosciuto durante gli anni del Muro. 



Di più, un capo di governo ha accusato direttamente un suo omologo di essere il mandante di un avvelenamento con sostanze chimiche su territorio di fatto non solo estero ma nemico (Nato), mentre il ministro degli Esteri dello stesso esecutivo ha rincarato la dose, affermando che Vladimir Putin intende utilizzare i prossimi mondiali di calcio come vetrina propagandistica, esattamente come fece a suo tempo Adolf Hitler. Accuse di una durezza senza precedenti, cui gli alleati hanno prestato il fianco, applaudendo come beoti. O, come temo, come complici di un’operazione di disinformazione e destabilizzazione, destinata a oscurare il risultato delle elezioni presidenziali del 18 marzo scorso, quando Vladimir Putin è stato rieletto con il 76% dei consensi e con l’Osce che, pur attaccandosi a tutti (hanno trasformato un singolo seggio siberiano nell’epicentro politico del mondo, visto che si sarebbero riscontrati alcuni brogli, immagino simili ai cinesi in coda per le primarie del Pd a Milano o ai 10 euro per ogni scheda elettorale pagata in Campania alle amministrative), non è riuscita a screditare il risultato: «L’assenza di competitori reali ha comunque reso la tornata elettorale non credibile», è stata l’accusa. Quasi a voler sottolineare che i competitor veri, tipo quel pagliaccio manovrato dal Dipartimento di Stato di Aleksey Navalny (accreditato prima del voto addirittura di un fenomenale 8% a livello nazionale), o vengono fatti fuori dalla magistratura o dai sicari del Cremlino. Proprio come avrebbe dovuto capitare a Skripal: del quale, però, non si sa nulla. Mentre la figlia Yulia, presumibilmente, si ingozza di bacon alimentandosi da sola, di lui nessuna notizia. Non una fotografia, un bollettino medico in favore di telecamere. Nulla. 



Forse perché non è mai accaduto davvero nulla di quanto ci hanno raccontato? Sarebbe da sperarlo, perché altrimenti saremmo di fronte a un fatto politico non solo di prima grandezza, ma di una gravità inusitata, un qualcosa che trasforma la denuncia di Colin Powell delle armi chimiche di Saddam Hussein, agitando fialette piene presumibilmente di Buscopan, in uno scherzo da 1 di aprile. Si è scatenata una guerra diplomatica con la Russia basandola sul nulla, nella migliore delle ipotesi o su una bugia, nella più probabile: ci rendiamo conto che stiamo parlando di Mosca e non di uno staterello centroafricano che si può trattare come una confraternita universitaria? Ma siamo impazziti? E nessuno, dico nessuno, che chieda le dimissioni di Theresa May e Boris Johnson: nessuno. 

Ma c’è di peggio. Perché l’altro giorno, la stessa Ue che ha visto i suoi Stati membri condannare aprioristicamente la Russia per l’accaduto (sempre che sia accaduto) ed espellere personale diplomatico dal proprio suolo, ha presentato il piano anti-fake news in vista delle elezioni europee del maggio 2019! Verrebbe da ridire, se la cosa non fosse tremendamente seria. Le regole da imporre ai social network, casualmente dopo l’esplosione a orologeria del caso Facebook-Cambridge Analytica? Maggiore trasparenza sugli algoritmi, limiti sulla raccolta di informazioni personali per scopi politici e trasparenza di chi finanzia contenuti sponsorizzati. E chi ha presentato in pompa magna l’iniziativa, dopo le denunce in tal senso di Jean-Claude Juncker in persona e del Garante della privacy Ue, l’italiano Giovanni Buttarelli? Il Commissario europeo per la sicurezza. E di chi si tratta? Di Julian King. Britannico. A detta del quale, «gli scandali come quelli di Facebook e Cambridge Analytica rischiano di sovvertire i nostri sistemi democratici». Invece le bugie dei governi come quello del suo Paese rischiano di far precipitare la situazione con una potenza atomica, contro la quale non solo si è messa in campo da oltre un anno un’operazione di disinformazione e destabilizzazione globale senza precedenti (basti su tutto la pantomima Usa sul cosiddetto Russiagate, il quale a oggi non ha portato alla luce e alla conoscenza dell’opinione pubblica una sola prova degna di tal nome dell’intervento del Cremlino a favore di Donald Trump e contro Hillary Clinton nelle elezioni presidenziali del novembre 2016), ma che, di fatto, è schierata sul confine Est dell’Ue, con il Baltico tramutato ormai da mesi in una sorta di fortino. 

C’è qualcosa che non torna. Perché o siamo di fronte a dei veri e propri Dottor Stranamore, così pazzi e invasati di russofobia da sfidare anche il rischio di un confronto militare o quanto sta accedendo è l’ennesima cortina fumogena per mascherare altro, per mascherare l’inconfessabile o l’ingestibile a livello di politiche interne. Ad esempio, i reali costi e le reali condizioni del Brexit per la Gran Bretagna? O, peggio, il fatto che chi di dovere abbia già deciso che quell’addio non s’ha da fare e ora si necessità di un casus belli di quelli seri per bloccare tutto o dar vita al secondo referendum, non a caso auspicato dal più atlantista dei britannici, l’ex premier Tony Blair? E che dire della crisi finanziaria che verrà e del reale stato di salute dell’economia Usa? O magari una bella crisi internazionale, con la tensione alle stelle e la campagna ansiogena di istituzioni e media a garantire altro tempo alla Bce e alla sua monetizzazione dei fallimentari debiti sovrani e corporate di alcuni Stati? 

Qualcosa sotto c’è, perché non si arriva a una quasi dichiarazione di guerra totale – a livello diplomatico – con la Russia, se la posta in palio non è di quelle davvero serie. E condivise da più di un protagonista. Prendete poi la Svezia, Paese non membro Nato, ma ritenuta sulla linea del fronte russo anche a causa della militarizzazione russa di Kaliningrad, meno di 300 chilometri dal Paese scandinavo, come mostra la cartina qui sotto. Sapete quanto ha stanziato in spese per la difesa dalla minaccia russa Stoccolma per il periodo 2012-2025? Qualcosa come 4,2 miliardi di corone, ovvero 510 milioni di dollari circa: una cifra ridicola se messa a paragone con il budget Usa, ma decisamente seria per un Paese così piccolo e, formalmente, neutrale. 

 

Per il triennio in corso – quello 2018-2020 – sono 400 i milioni di corone già messi a budget per investimenti nella difesa, con tanto di mega-esercitazione congiunta anti-russa da tenersi fra due anni: scommettete che uno degli effetti collaterali di quanto accaduto sarà l’ingresso ufficiale della Svezia nella Nato, geo-strategicamente e storicamente un colpo enorme? E sapete parte dei fondi per cosa saranno stanziati? «Addestramento e preparazione dei cittadini a resistere contro gli sforzi della propaganda russa e le sue fake news diffuse attraverso i social media», ha dichiarato la scorsa settimana il presidente della Commissione difesa svedese, Bjorn von Sydow, a detta del quale «difendere i principi democratici è vitale per la nazione». 

E chi venderà armamenti e tecnologia alla Svezia, a vostro parere? E pensate che le pressioni statunitensi rispetto alla quota 2% delle spese militari sul Pil da parte dei Paesi membri Nato non torneranno a farsi pesanti, stante il clima? Non siamo all’attivazione in grande stile – e senza aver sparato nemmeno un mortaretto, anzi con la Casa Bianca che annuncia il possibile ritiro delle truppe statunitensi dalla Siria – del warfare, il moltiplicatore bellico-industriale del Pil, ancora di salvezza di ogni economia in procinto di precipitare in recessione? E non saremmo di fronte a uno di quei famosi shock esterni tanto comodi per la Banche centrali, poiché garantiscono la prosecuzione senza spiegazioni delle politiche espansive, dando oltretutto la colpa per il cambio di strategia a fattori esterni, mantenendo quindi viva la narrativa dell’economia interna che invece scoppia di salute? Siamo in piena realtà distopica. E la cosa buffa è che il tutto si basa sull’assunto del pericolo rappresentato per il mondo dalle fake news russe! 

Avete dato un’occhiata a una delle tante rassegne stampa televisive ieri? Non un singolo quotidiano italiano aveva la notizia della smentita degli esperti britannici in prima pagina, nemmeno in un boxino di richiamo al servizio interno: quando Skripal fu ricoverato e nei giorni seguenti, quelli dell’escalation diplomatica contro Mosca, la propaganda anti-russa è mai sparita dalla prima pagina? Mai, sempre in prima fila. Tutti dovevano vedere la notizia, leggere anche soltanto il titolo, vedere la foto della May furente e di Johnson nei panni di Churchill 2.0 contro il Reich russo di zar Putin. Cos’è, troppo spazio da dedicare a quella pantomima istituzionale delle consultazioni al Quirinale, dove di fatto è tutto già deciso? Oppure la scelta dei direttori è caduta sulla fenomenale rovesciata di Cristiano Ronaldo, più che sul rovesciamento della realtà riguardo i rapporti fra Stati con dotazioni atomiche basato su false accuse? 

Ma tranquilli, perché il parere degli esperti britannici sul caso Skripal non è stato l’unico a essere oscurato dalla stampa autorevole. Non ha infatti incontrato molto favore mediatico nemmeno il report To truly fight terror, counter salafist jihadist ideology first redatto dal docente di antiterrorismo dell’americanissima università di Georgetown, il professor Ahmet Yayla, non a caso ripreso da una rivista on-line non certo tacciabile di simpatie filo-russe come Homeland Security Today. E cosa dimostra lo studio? Nulla di strano, se non la sponsorizzazione statale dell’Isis compiuta per anni e negli anni dall’Arabia Saudita, straordinario alleato dell’Occidente nella lotta al terrorismo e munifico acquirente di armamenti con cui sterminare civili in Yemen. Ma si sa, l’America è come il Senato dell’antica Roma: al suo interno di dibatte, l’importante è che dopo esca un messaggio univoco da spacciare alle colonie. E, infatti, se proprio il principe saudita Mohammed bin Salman, non più tardi della scorsa settimana, ha ammesso le responsabilità di Ryad nel finanziamento di gruppi terroristici, parlando con Jeffrey Goldberg di The Atlantic, questo altro studio è meglio che passi sotto silenzio. Anche perché mette in evidenza quello che è il cavallo di Troia saudita per le sue operazioni di destabilizzazione: l’utilizzo di imam salafiti e il finanziamento di moschee e centri islamici all’estero, pratica iniziata – corsi e ricorsi storici – durante la Guerra Fredda in chiave anti-sovietica e con la benedizione di Washington. 

Parliamo della stessa Arabia Saudita che centinaia di americani onesti vorrebbero alla sbarra per le sue responsabilità nell’11 settembre e che invece non ci finirà mai: per lei, anzi, un bel ruolo da presidente della Commissione diritti umani dell’Onu. E non siamo in piena distopia? Attenzione, perché qui si sta scherzando con il fuoco. O siamo di fronte a una sciarada generale, di cui è consapevole protagonista anche il Cremlino oppure qualcuno ha troppo da perdere. Ed è pronto a tutto. In un caso e nell’altro, una cosa è certa: il lavaggio del cervello collettivo che doveva portarci alla società orwelliana e al panopticon globale ha funzionato alla perfezione. Sarà guerra, occorre solo capire con quali armi verrà combattuta. 

Attenti alla curva dei rendimenti delle obbligazioni Usa: se continuerà a flettere come sta facendo ormai da troppi giorni, alle minacce e alla fake news di Stato come quelle britanniche, seguiranno i fatti. Come l’attacco a Carcassone o l’allarme terrorismo per Pasqua in Italia, magari questa volta prendendo di mira la Germania. Dove sul finire della scorsa settimana il governo di coalizione ha rilasciato tutti i permessi per la costruzione dell’infrastruttura all’operatore del gasdotto Nord Stream 2 AG, nonostante le minacce nemmeno troppo velate del Dipartimento di Stato Usa al riguardo. Lupo solitario in arrivo, ovviamente noto ai servizi e con turbe psichiche per riportare frau Angela e soci a più miti consigli? Non provate a darmi del dietrologo, perché il caso Skripal giustifica ben di peggio del mio complottismo. Prendetene atto, una volta per tutte. E aprite gli occhi.