“Ogni azionista è benvenuto se porta valore aggiunto e l’ingresso della Cdp non viene considerato un’operazione ostile anche perché se lo fosse sarebbe un messaggio negativo per tutti gli investitori stranieri che investono sull’Italia”: Vivendi, con questa dichiarazione, ha fatto orecchie da mercante alla notizia del momento, quella dell’intenzione della Cassa depositi e prestiti di acquisire un 5% di Tim e scendere così in campo, nella prossima assemblea del 24 aprile, dove si fronteggeranno il colosso francese di Vincent Bollorè – oggi azionista di riferimento del gruppo con circa il 23% del capitale – e il fondo attivista americano Elliot. Una dichiarazione che suona anche vagamente minatoria contro il “Sistema Italia” e aggiunge così una nuova inopportuna nota polemica dei francesi contro l’establishment del Paese.
Ma Elliot non scherza, ha rastrellato un 5% e proposto una sua lista di sei consiglieri che dovrebbero scalzare quelli francesi se riusciranno ad aggregare i voti degli altri fondi. Sei consiglieri coi fiocchi: Luigi Gubitosi, commissario di Alitalia ed ex amministratore delegato di Wind ed ex dg della Rai, Paolo Dal Pino (ex ad Tim Brasil), Fulvio Conti (ex ad Enel), Giovanni Cavallini (ex ad Interpump), Rocco Sabelli (ex ad Telecom e Piaggio), Claudio Parzani (Allianz Italia), Paola Giannotti (Ansaldo Sts). Sei nomi eccellenti, italiani, a fare argine a una gestione francese molto (troppo) muscolare, utilitaristica, che negli ultimi mesi ha convinto sempre meno i mercati e non è affatto piaciuta all’uscente governo Gentiloni, che per bocca del ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda si è espresso a favore della mossa della Cassa depositi e prestiti (ovviamente: impensabile che l’ente guidato da Claudio Costamagna facesse di testa sua).
Mossa in verità sacrosanta. In assemblea si sa che i fondi potranno agevolmente superare, se compatti, la forza dei voti di Vivendi. Già alla precedente sfida sfiorarono il sorpasso, ora dovrebbero farcela. Ma si è anche saputo – in questa incandescente e lunga vigilia di scontro – che i fondi di area Generali-Mediobanca non hanno avuto dall’azionista di riferimento, la banca di piazzetta Cuccia, l’ordine di votare a favore di Elliott. Anzi: la parola d’ordine è stata “liberi tutti”.
Di qui, l’arrivo della Cdp. Un perno nazionale ci voleva, accanto a Elliott. Al centro del contendere non c’è infatti solo solo la gestione discutibile che del gruppo telefonico un tempo pubblico hanno finora fatto i francesi, ma soprattutto l’atteggiamento assunto da Vivendi sul tema dello scorporo della rete e dell’alleanza eventuale con Open Fiber. Un no senza negoziati. L’attuale amministratore delegato di Tim Amos Genish ha detto in un’intervista al quotidiano francese Les Echos che “è un ‘imperativo’ che Tim controlli la sua rete”. Appunto un ennesimo “niet” che lo Stato italiano non poteva tollerare. Su questo, il governo e le Fondazioni bancarie – socie di minoranza di Cdp – sono state compatte. E sarà dura per Vivendi sconfiggerli.
Si può dire che la mossa di Cdp sia più che altro dimostrativa, il 5% da solo non basta, del resto per far di più la Cassa avrebbe dovuto avere un input più netto dal governo, ma un esecutivo uscente non ha la forza politica di disporlo. Però la scelta del colosso pubblico, dettata da Gentiloni, è stata concordata con i partiti vittoriosi alle ultime elezioni: Cinquestelle, Lega, Forza Italia. Assogestioni – che rappresenta i fondi d’investimento – si è informalmente espressa a favore di una lista di minoranza lunga, a sette membri (in base allo Statuto di Tim alle minoranze spettano un terzo dei posti in cda). Questo non bastava a dare per scontata una confluenza dei fondi che si riconoscono in Assogestioni sulla lista di maggioranza presentata da Elliott, pur essendo chiaro che gli americani lascerebbero campo libero a candidati graditi ai fondi italiani perché vogliono sostanzialmente cambiare la governance e isolare i francesi: di qui, la discesa in campo della Cassa.