Un minuetto imbarazzante che non cambia la sostanza dei fatti. Il fondo Elliot e i suoi alleati vogliono disarcionare Vivendi dalla posizione di friabile e fragile controllo di Tim, come inopportunamente è stata ribattezzata Telecom Italia; e nell’assemblea del 4 maggio hanno tutti i numeri per farcela. Ma in queste giornate di vigilia si incrociano messaggi cifrati e pantomime che servono come pretattica rispetto a quel che sta per accadere.
L’altro ieri l’amministratore delegato uscente, e forse rientrante, di Tim – Amos Genish – ha detto a Londra che la sua permanenza in azienda è incompatibile con una eventuale vittoria di Elliot alla conta dei voti. Ma poi ieri Elliott, socio di Telecom con ormai quasi il 9%, ha detto di aver sposato pienamente il piano per Telecom Italia presentato da Amos Genish il 7 marzo. E quindi di essere pronto a riconfermare il manager.
Dunque: bisogna tener presente che, per quanto non sia mai stato ufficiale, i rapporti tra Genish e Vivendi erano rovinati già tre mesi fa. Vincent Bollorè, il miliardario bretone attualmente ristretto nell’imbarazzante posizione di indagato per corruzione internazionale a causa del suo discutibile gusto per la gestione dei porti africani, voleva segarlo. Licenziarlo. Aveva imposto un direttore acquisti in Tim che, guarda caso, era lo stesso che dirigeva gli acquisti di Vivendi, e che pur calando da Parigi giù a Milano nella partecipata italiana sarebbe rimasto – ed è rimasto! – nello stesso ruolo anche a Parigi.
Di tutto questo Genish, pur essendo amministratore delegato di Tim, era stato informato a cose fatte: l’ennesimo affronto di una coabitazione impossibile. Aveva annunciato le dimissioni, come fa qualunque manager d’onore in una situazione del genere, ma era stato chiamato a Parigi da Bollorè in persona. Cosa si siano detti i due in privato non l’ha saputo nessuno, ma è chiaro che gli argomenti usati dal bretone oggi carcerato devono essere stati forti e convincenti, perché Amos è rimasto in Tim ed è anzi rientrato – come si è visto anche dalle sue dichiarazioni di Londra – nel ruolo del fedele e convinto uomo d’azione di Vivendi. Come no, figuriamoci.
La verità è che Elliot il 4 con tutta probabilità vincerà l’assemblea; nominerà un consiglio di indipendenti – che è poi un ossimoro, perché se saranno nominati da Elliot, smetteranno in quel momento stesso, in sostanza, di essere indipendenti: semmai li si potrà definire complementari a Elliot – i quali poi sceglieranno se tenersi davvero Amos Genish, che è poi un bravo manager in affitto come tanti, o cambiarlo. E soprattutto decideranno se è vero che il piano Genish gli piace.
Per ora, Elliot dice così: il piano va bene. Ma qualcosa non torna. Secondo il documento programmatico preparato dall’attuale a.d., la rete di Tim – la vera materia del contendere – deve infatti sì essere scorporata e societarizzata, ma restando sotto il controllo di Tim. Elliot ha sempre detto che è invece disponibile a cedere questo controllo a Open Fiber, la società mista Enel-Cassa depositi e prestiti che sta cablando l’Italia in banda ultralarga.
Tra i due piani evidentemente c’è un abisso. Che rende inverosimile, da parte di Elliot, l’idea di tenersi buono il piano Genish. Ma non implica che sia agevolmente attuabile il proprio, cioè la vendita. Già: perché la vera domanda, oltre il minuetto, è: ma quanto vale, ormai, la rete Telecom? È capillare, per carità: arriva dappertutto, in Italia. Ma è vecchia. Vec-chia. Metà in rame, metà in fibra. Penalizzata dalla scarsa manutenzione degli ultimi anni.
Cinque anni fa Franco Bernabè diceva che valeva 15 miliardi di euro, ma forse si sarebbe accontentato di 12 miliardi se qualcuno glieli avesse offerti. Oggi, appunto, le stime più generose dicono12. Ma alcuni ipotizzano già 8. Molto dipende anche dalla velocità e dalla determinazione con cui Open Fiber sta completando la sua, di rete. Ed Elliot lo sa. Più cresce Open Fiber, meno vale la rete Tim. Il tempo è determinante.