Con l’esame del Def la partita sui conti pubblici sta entrando nel vivo. Presso le Commissioni speciali di Camera e Senato si sono tenute le audizioni di Istat, Banca d’Italia e Ufficio parlamentare di bilancio. Confermati la decelerazione della crescita e il rischio dazi, mentre sul nodo delle clausole di salvaguardia – come ha avvertito il vicedirettore generale di Bankitalia, Luigi Federico Signorini – “se si vuole evitare, o contenere, l’aumento dell’Iva e si è ugualmente determinati a imboccare la strada di una riduzione del debito visibile e significativa, bisognerà ricercare fonti alternative di aumento di entrata o riduzione di spesa”, escludendo quindi che la sterilizzazione delle clausole possa avvenire in deficit. Ma proprio ieri la soluzione al rebus governo sembra aver trovato un’accelerazione con la ripresa delle trattative tra M5s e Lega per provare a dar vita a un governo con “l’astensione critica” di Forza Italia. Un esecutivo giallo-verde caratterizzato da posizioni sovraniste, eurocritiche e propenso a politiche di spesa potrebbe entrare in rotta di collisione con le aspettative dell’Europa, specie sul fronte dei conti pubblici e dei vincoli di bilancio, ma anche sui dazi? Ne abbiamo parlato con l’economista Massimo D’Antoni, docente di Scienza delle finanze all’Università di Siena.



Come potrebbero reagire Bruxelles e i Paesi del Nord Europa se si arrivasse a un governo M5S-Lega, formato cioè da due partiti sovranisti, eurocritici e pronti ad allargare i cordoni della spesa pubblica?

I Cinquestelle, in realtà, non hanno manifestato ultimamente una linea chiara sull’Europa, dimostrando una grande imprevedibilità. Hanno cercato negli ultimi tempi di rassicurare tutti che non avrebbero cavalcato vecchi cavalli di battaglia come il referendum sull’euro, che però solo pochi giorni fa è stato riesumato da Beppe Grillo.



Potrebbero, secondo lei, giocare un ruolo di moderazione rispetto alle posizioni apertamente più anti-europeiste della Lega?

Difficile dirlo. Resta il fatto che un eventuale governo giallo-verde nasce con il rischio che prevalga l’anima eurocritica.

Intanto l’asse franco-tedesco sta lavorando, seppure con vedute non del tutto convergenti, a un progetto di riforma dell’Europa. Se l’Italia parteciperà a questo tavolo con un governo giallo-verde che cosa dobbiamo aspettarci?

Un asse con Macron lo vedo molto improbabile, soprattutto da parte della Lega, anche perché il piano di riforma Ue del presidente francese è ancora molto vago. Piuttosto non è da escludere che l’Italia possa presentare proposte più radicali di riforme oppure che l’Italia cerchi di mandare all’aria il progetto franco-tedesco.



Perché?

Alla Lega, soprattutto, arroccata su posizioni di difesa degli interessi nazionali, non piace l’attivismo della Francia, come hanno dimostrato i recenti casi di acquisizione di banche e imprese. Anche la figura del ministro delle Finanze europeo viene vista alla stregua di un mero garante dell’attuazione del fiscal compact, come un accentratore dei poteri decisionali sui bilanci europei.

A tal proposito, un governo M5s-Lega potrebbe riaprire la partita del fiscal compact? La Lega è stato l’unico partito a opporsi nel 2012 all’introduzione del pareggio di bilancio…

E’ vero che nel 2012, al momento del voto sul fiscal compact la Lega, furbescamente, si tenne fuori dal sostegno al governo Monti. Va però ricordato che la Lega era organica al governo Berlusconi quando con il ministro Tremonti concordò con la Ue la promessa che l’Italia avrebbe raggiunto il pareggio di bilancio. Insomma, è quanto meno sorprendente che oggi Salvini voglia far passare l’idea di guidare un partito contrario all’austerità. Ma è altrettanto vero che nel frattempo la Lega è cambiata. Penso, comunque, che la discussione sul fiscal compact possa implicitamente rientrare nell’ambito di quella “battaglia sui Trattati” in base alla quale il rispetto dei vincoli europei diventa secondario a fronte della difesa degli interessi nazionali. E comunque va sottolineato che il fiscal compact è sostanzialmente un principio disapplicato, poco più che una bandierina. A suo tempo la Francia non è stata sanzionata per aver sforato il deficit e noi continuiamo a rinviare di anno in anno il pareggio di bilancio.

Prima accennava alla possibilità di proposte radicali di riforma della Ue. In che direzione?

Innanzitutto sul tema dei vincoli di bilancio, ma anche sull’applicazione di alcune direttive, come la Bolkestein sulla libera circolazione dei servizi. Salvini, che ci tiene molto alla sua immagine di persona affidabile, coerente, che sa mantenere la parola data, non avrà certo molta voglia di smentire alcune sue idee sull’Europa, a partire, appunto, dall’avere mani più libere sul deficit.

In questi giorni si discute del Def e di come sterilizzare le clausole di salvaguardia…

Appunto. Penso che il nodo delle clausole sarà risolto non con tagli di spesa o con nuove imposte, ma con misure in deficit.

In Europa si discute anche del nuovo bilancio Ue. Da un lato taglia i fondi per la coesione, ma dall’altro prevede maggiori risorse per gestione dei flussi migratori, sicurezza e difesa. Tutti temi cari alla Lega…

Sì, sono temi sensibili, ma non sufficienti per spingere la Lega su posizioni a favore di un maggior ruolo dell’Europa. E’ più probabile che, a fronte di una riduzione di fondi, si risponda con un taglio dei contributi, in un’ottica di limitazione del ruolo della Ue, di volontà di minimizzare il bilancio europeo per riprendersi un po’ più di sovranità e di un maggior riequilibrio tra ciò che l’Italia dà all’Europa e ciò che da essa riceve.

Le prospettive di crescita del Pil italiano sono frenate dal rischio dazi. Sulle imminenti guerre commerciali l’Italia ha mantenuto finora un basso profilo. È possibile che i toni possano alzarsi qualora a fine mese Trump confermasse le tariffe all’import europeo di acciaio e alluminio?

Di certo non faremo battaglie contro Trump per conto della Germania. Anzi, non escluderei un tentativo di portare l’Italia su una posizione più autonoma, meno incline a fare quadrato su interessi più europei, attenti a non mettere a rischio le nostre esportazioni solo per difendere un principio che va a vantaggio di altri Paesi, Germania in testa.

In definitiva, che cosa dobbiamo aspettarci dal confronto con l’Europa?

Il confronto si farà un po’ più teso. Finora è prevalsa la linea della disponibilità per ottenere più risultati, anche se su questo non tutti sono d’accordo. Probabilmente si andrà su una linea più dura nel tentativo di far valere le proprie ragioni e di portare a casa risultati più vantaggiosi. Alla Grecia non è andata così, ma l’Italia è un paese che in Europa pesa di più.

Su quali punti potrebbero verificarsi le maggiori frizioni?

Direi su vincoli di bilancio, banche e aiuti di Stato.

(Marco Biscella)