Mentre M5s e Lega hanno avviato i lavori, confrontandosi su temi e nomi, per cercare di dar vita a un governo entro domenica, sulle prospettive di crescita dell’Italia, oltre al rischio di uno shock protezionistico che potrebbe costarci uno 0,5% in meno di crescita, aleggiano sempre come bubi minacciose le clausole di salvaguardia, che vanno sterilizzate entro fine anno per evitare un aumento automatico delle aliquote Iva, che richiederebbe di scovare 30 miliardi di euro nei prossimi due anni. Una tagliola dagli effetti recessivi. Come evitarla? Lo abbiamo chiesto a Gustavo Piga, professore di economia politica all’Università di Tor Vergata, che nei giorni scorsi ha twittato: “Corsa per evitare l’Iva? Comico. Se non si abolisce il fiscal compact è corsa per aumentare altre tasse o ridurre a casaccio la spesa, ancor più recessivo. Ma di che parliamo?”.
Professore, che cosa significa sterilizzare le clausole di salvaguardia?
Sterilizzare le clausole di salvaguardia significa mantenere lo stesso livello di deficit previsto nel “non-Def” presentato dal governo Gentiloni compensandolo con maggiori entrate o con minori spese. Se si imbocca la prima strada, cioè si sceglie l’aumento delle tasse, perché allora non lasciare gli aumenti dell’Iva?
Non conviene giocare la carta delle privatizzazioni?
Non può essere utilizzata, perché le privatizzazioni vengono conteggiate come misure una tantum, e quindi non in grado nel tempo di compensare una perdita di gettito permanente.
E il taglio della spesa?
La spesa pubblica è di due tipi: si parla di trasferimenti, cioè gli interessi, che però non si possono toccare, e le pensioni, e anche qui è molto probabile che il nuovo governo M5s-Lega non intenderà procedere a tagli, anzi, come da programmi elettorali, sarà più facile che metta mano a un allargamento della spesa previdenziale, e si parla di altre spese della Pa, come stipendi o costi degli appalti.
Come si possono tagliare?
Due sono le modalità: attraverso i tagli lineari, fatti a casaccio, o con i tagli non lineari. Con i tagli lineari si impoveriscono gli stipendi dei lavoratori e si riducono le prestazioni dei servizi. Il Paese sta peggio e l’impatto di queste misure è ben più pesante che l’aumento delle aliquote. Allora bisogna cercare di tagliare quella spesa classificabile come meri sprechi.
Sulla lotta agli sprechi, genericamente intesa, tutti si dicono d’accordo, ma poi realizzarla è molto difficile. E’ possibile fare qualche esempio concreto?
Prendiamo, a mo’ di esempio, due amministrazioni che spendono 600 euro per acquistare due ambulanze. La prima, più sciupona, spende 400 euro, mentre la seconda, più oculata e virtuosa, ne spende 200. Se ci fosse un governo capace di individuare lo spreco, impedendo all’amministrazione meno virtuosa di buttare al vento le risorse e, imponendole l’acquisto dell’ambulanza a 200 euro, il risultato di questo taglio non lineare è chiaro: si è ridotta la spesa complessiva di 200 euro, il servizio non è stato intaccato, l’occupazione salvaguardata e il Paese avrebbe a disposizione 200 euro da destinare alla riduzione del debito.
E se invece si adottasse la tecnica dei tagli lineari?
Restiamo sull’esempio. Abbiamo sempre una spesa complessiva di 600 euro e tre amministrazioni, competenti e virtuose, che acquistano tre ambulanze da 200 euro. Con un taglio lineare di 200 euro, senza guardare in faccia a nessuno, che cosa otterremmo? La spesa scende, sì, ma avremmo un’ambulanza in meno, servizi peggiori a disposizione dei cittadini e più disoccupazione. Quindi, i tagli lineari sono sempre recessivi, molto peggiori di un aumento delle aliquote Iva.
La battaglia efficace agli sprechi non è un’operazione facile…
Infatti richiede coraggio, tempo e competenze. Ma questa è una battaglia che il nuovo governo dovrebbe intraprendere da subito, perché non dà risultati immediati.
Intanto il nodo delle clausole di salvaguardia va tagliato entro fine anno…
Qui sta il paradosso e la follia del “non-Def”: le clausole di salvaguardia, per ammissione stessa del governo Gentiloni, abbasseranno le previsioni di crescita. Cioè staremo peggio grazie proprio alle politiche attuali legate al rispetto del fiscal compact.
Ma è proprio tutta colpa del fiscal compact?
Il fiscal compact costringe a fare politiche lacrime e sangue, che hanno fatto, e fanno, molto male alla nostra economia. E tutto questo nonostante che le commissioni Bilancio e Politiche europee della Camera, con voto quasi unanime, a febbraio abbiano bocciato l’inserimento, nell’ordinamento giuridico comunitario, del fiscal compact con l’obbligo del pareggio di bilancio entro tre anni.
Il presidente Mattarella ha ricordato il rispetto dell’articolo 81 della Costituzione sul pareggio di bilancio e ha messo in guardia dalle sirene di un programma sovranista, ritenuto inattuabile…
E’ vero. Ma sempre Mattarella, molto opportunamente, oltre a ricordare che uscire dall’euro è una follia, spegnendo così ogni velleità in tal senso a M5s e Lega, ha sottolineato che è il momento di ricostruire l’Unione europea riscoprendo una parola fondamentale e fondativa del progetto Ue: solidarietà. E solidarietà vuol dire che nelle difficoltà ci si avvicina a chi sta soffrendo. Oggi a soffrire di più sono i disoccupati per mancanza di investimenti pubblici, ridotti ormai al lumicino, dopo anni di politiche di austerità all’insegna del fiscal compact.
Si può ancora riaprire la partita del fiscal compact? E come?
L’Europa ha bisogno di ossigeno per salvare se stessa. Con il fiscal compact rischia di auto-eliminarsi masochisticamente. Il debito pubblico è più alto a causa proprio del fiscal compact. Basta con gli aumenti di Iva e Irpef. Bisogna fare in modo che l’economia riprenda un po’ di ottimismo. Sostituiamo l’aumento dell’Iva con l’aumento della fiducia.
In che modo?
Bisogna lasciare per i prossimi quattro anni il deficit al 3%, guadagnando 50 miliardi di investimenti e guadagnando il tempo necessario per tagliare con intelligenza gli sprechi, recuperando le risorse necessarie da destinare allo sviluppo. Così facendo l’Italia potrà ridare forza alla stessa idea di Unione europea.
L’Europa ce lo consentirà?
E’ una sfida implicita lanciata all’Europa. Oggi si apre un finestra quasi unica, ci sono le pre-condizioni politiche e gli strumenti per dire no al fiscal compact. Forse ci sarà da fare uno strappo negoziale, ma se il nuovo governo presenterà un piano responsabile, ancorato a Maastricht, con il deficit al 3% del Pil da utilizzare per nuovi investimenti pubblici e una spending review intelligente, in questo momento anche Francia e Germania non hanno la forza e l’interesse a spingere con decisione sul fiscal compact. La Ue mi sembra abbastanza saggia e non vorrà esacerbare la situazione. E potrebbe anche apprezzare il contributo dell’Italia ad avviare un dibattito, serio e intelligente, su come rilanciare la ripresa nella Ue.
(Marco Biscella)