Puo darsi che l’alleanza annunciata da Apple e Goldman Sachs nel campo dei pagamenti digitali sia una delle tante nel frenetico mondo di fintech. Vent’anni fa, durante il primo boom della New Economy, le grandi banche old e i grandi gestori telefonici tradizionali si rincorrevano affannosamente per poter lanciare un “piano internet” (allora si diceva così). Non ne resta nulla o quasi: entrambe le specie degli allora “campioni nazionali” (si diceva così) sono state travolte e sconvolte dalla crisi finanziaria, dalla rincorsa tecnologica e dal rimescolamento degli equilibri competitivi portato dalla globalizzazione.
Al giro di boa del secolo e del millennio Apple e Goldman Sachs erano grandi nomi globali, ma non era a esse che si pensava – neppure in America – quando si pronunciava la parola “internet”, oppure “banca”. La prima costruiva “personal computer”, anzi ne era stata la pioniera: ma, ancora vivo Steve Jobs, ci si chiedeva se i glory days di Cupertino non fosserp irrimediabilmente insidiati da Microsoft piuttosto che dai nuovi produttori asiatici a basso costo oppure dagli stessi gestori tlc o dai nuovi provider di connettività web. Goldman era dal canto suo una delle regine di Wall Street e della City londinese. In quella veste non si era occupata di quotare Apple nel lontano 1980 (l’aveva fatto la sorella-rivale Morgan Stanley), ma aveva avuto un ruolo importante nella fusione AmericaOnline-Time Warner, forse l’apogeo hi-tech della turbo-finanza pre-2008. Apple e Goldman sembravano fatte per appuntamenti di qualità fra brand rispettabili in business consolidati ma distinti: non per fughe in avanti nell’innovazione spinta.
Senza farla troppo lunga: nel 2018 Apple è ridiventata dea in machina (iPad & iPhone) anche dopo che Google, Facebook & C hanno conquistato il proscenio della Silicon Valley. Goldman Sachs è brillantemente sopravvissuta al dopo-2008 (con quali mezzi non importa) e ha deciso che per rimanere la vera world bank deve imparare in fretta a cantare alla perfezione le canzoni più new fra quelle in voga fra gli intermediari finanziari: ha quindi avviato una start-up nel digital retail banking (Marcus) e ha scelto di fidanzarsi con the best partner in town. Se sarà il digital royal wedding del secolo ventunesimo – o almeno del suo primo terzo – è presto per dirlo. È più facile nel frattempo giocare con qualche chiacchiera da salotto: Apple-Goldman è una “santa alleanza” difensiva od offensiva fra i vecchi e i nuovi poteri forti negli Usa? È un appeasement che matura all’ombra della Casa Bianca di Trump: propiziato (se non “benedetto”) da The Donald o in reazione/opposizione all’apparente giustiziere dei good old times? È la nuova incubatrice della presidenza 2020, dopo il tragico e fragoroso schianto di “Zuck”, mister Facebook? E con quale assestamento di regole del gioco fra finanza, ricerca tecnologica, democrazia, geopolitica? Già: Apple-Goldman è il nuovo “contratto americano” (“new New Deal“) contro la Cina?