Lega e MS5 perseguono un accordo che, semplificando, aumenti il contrasto alla povertà e allo stesso tempo riduca le tasse. Da un lato, tale impostazione ha senso perché risponde con una formula unitaria alle diverse domande degli elettorati del Nord industriale e del Sud depresso. Nel secondo risiedono sia la gran parte del 10% di adolescenti che per povertà delle famiglie non accedono all’istruzione, sia i due terzi degli oltre 5 milioni di individui in situazione di povertà assoluta rilevati dall’Istat. È evidente che serva un intervento straordinario. Così com’è evidente che il Nord industriale abbia bisogno di meno costi sistemici per aumentare la crescita e il traino al resto del Paese. D’altro lato, la bozza di contratto tra i due partiti, al momento, lascia poco specificati e contraddittori i modi di realizzazione. Ciò alimenta sospetti tecnici sul piano della fattibilità e del rischio di effetti controproducenti che hanno già portato il mercato internazionale ad alzare, pur ancora non drammaticamente, il rischio Italia.



Per esempio, una cosa è investire per creare più opportunità, e formare il capitale umano per coglierle, al Sud e un’altra, che potrebbe destabilizzare l’intero sistema economico nazionale, è aumentare la spesa assistenziale. In generale, non è chiaro se l’accordo vada verso il realismo o altrove. Soprattutto, non è chiaro il meccanismo di finanziamento. A occhio bisognerebbe riallocare molta spesa pubblica, circa 35 miliardi e allo stesso tempo tagliarne tanta, circa 30, per concretizzare le idee dell’accordo come finora abbozzato e allo stesso tempo mantenere l’equilibrio del bilancio statale. Ciò sarebbe fattibile se nel contratto di governo ci fosse un programma triennale (credibile) di riduzione parziale del debito pubblico di almeno 200 miliardi, valorizzando e privatizzando proprietà statali e di enti locali (immobili, partecipazioni e concessioni) il cui complesso, cioè il patrimonio pubblico disponibile, vale circa 650-700 miliardi.



Con tale operazione sarebbe possibile ricavare risorse dalla minor spesa annua per interessi – ora sui 60 miliardi – e ottenere dall’Ue più flessibilità per finanziare la stimolazione economica a Sud e a Nord. Ma il programma taglia-debito nell’accordo non c’è. C’è invece l’intento di fare più deficit senza ridurre il debito, creando così il rischio che il mercato faccia fuggire i capitali dall’Italia, rigettandola in recessione. O l’accordo viene specificato in modi realistici o sarebbe meno rischioso tornare alle urne.

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